Equinozio di Primavera 2022: tra Luce e Ombra

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Equinozio di Primavera 2022: tra Luce e Ombra

“Quando il Sole si alza, all’equinozio di Primavera o di Autunno, il primo segno ad essere illuminato è il Toro, che rappresenta il Verbo, le nostre corde vocali, ciò che esce dalla nostra bocca, il Logos.

La Primavera è la stagione di MERCURIO, infatti nell’aria irradiata dal Sole della Primavera si avverte anche l’influsso sottile di una grande divinità, quella che gli antichi chiamavano Mercurio, lo spirito dell’aria.

In alchimia il processo mercuriale si produce quando gli elementi dell’aria e dell’acqua si mescolano, cioè in primavera l’aria si surriscalda e le acque più intensamente evaporano per poi discendere come pioggia sulla terra…

Nel cosmo la terra appare azzurra come una gigantesca goccia d’acqua e l’azzurro dell’acqua esprime l’effetto dell’influsso  mercuriale.  Mercurio infatti, quale divinità particolarmente vicina agli uomini, non ha mai smesso di comunicare all’uomo le sue verità segrete.

Per questo i saggi del Rinascimento lo invocavano come ERMETE TRISMEGISTO, Hermes il tre volte grande”.

(Tratto da: “L’Equinozio di primavera”)

In Giappone, il giorno dell’equinozio di primavera è una festa nazionale buddista, ufficiale, che si trascorre visitando le tombe di famiglia ed organizzando riunioni tra parenti, promuovendo la aggregazione delle persone.

 

Difficile ragionare in termini di equilibrio e dialogare con un simbolo che annuncia, attraverso il livellamento degli orizzonti di luce, la primavera della natura e dell’anima, in questi giorni in cui da più direzioni arrivano segnali destabilizzanti: il mondo è tutt’altro che in equilibrio.

Le nazioni sono in guerra tra loro per brama di potere, ormai da anni conviviamo con una pandemia causata dall’uomo, la tecnologia sfrena, strappa e si rivolta contro noi stessi prevaricando i nostri concetti di libertà: è emergenza.

Al centro l’uomo lotta ancora, e sempre, per la sopravvivenza, ma di egoismi, in funzione dell’interesse parziale. Chiara la lettura di senso, per quanto è davanti ai nostri occhi: l’impossibilità, dopo secoli di evoluzione dell’uomo, di essere gli uni con gli altri; in armonia, con il luogo che è ancora a nostra disposizione.

Siamo quindi lontani dal progresso della Patria e dell’Umanità: il nostro valore/binomio che unisce e fonde il particolare al generale, che usa il piccolo per rafforzare e realizzare la grande opera.

Difficile parlare dell’equinozio in questi giorni in cui è evidente che parole come morte e violenza, separazione, disagio e profughi divengono crude realtà, idonee a dirimere divergenze, legate a motivi di interesse parziale e non globale: lo squilibrio tra progresso e regresso è imbarazzante, disarmante; noi uomini, cittadini del mondo ed ospiti dell’universo, non siamo ancora uniti, uguali; non siamo e forse non saremo mai, gli uni, per gli altri. Non conosciamo e non condividiamo le sorti di tutti coloro che, come noi, hanno lo stesso diritto di abitare questa terra: troppo diverse sono le sorti, alle differenti latitudini; da un lato il consumo, dall’altro l’abuso; da una parte benessere, dall’altra disperazione; noi stessi non sappiamo più cosa è veramente importante.

Come fare per rendere veramente importante quello che abbiamo?

Occorre, come sempre, iniziare a lavorare su noi stessi, onde poter cambiare la nostra società.

Nell’antico Egitto si credeva che la “Sostanza” fosse la nostra vera identità e che potesse essere quella “radice” in grado di portarci alla vera evoluzione.

Conoscendo, quindi, la nostra vera realtà possiamo giungere alla vera realizzazione, equilibrando l’“Io empirico” (esteriore) con l’“Io interiore” e superando ogni separazione tra uomo ed uomo (superare il “muro dell’ignoranza”).

È comunque interessante notare che durante l’Equinozio di primavera la Grande Sfinge risulta perfettamente allineata al sorgere del sole.

Nei giorni che seguono l’inizio delle stagioni astronomiche la Terra occupa quattro posizioni fondamentali.

Oggi, 21 marzo, i raggi cadono perpendicolari all’ equatore: il circolo di illuminazione coincide con un meridiano, passa per i poli e divide tutti i paralleli in parti uguali.

Questo giorno è detto equinozio di primavera. La parola “equinozio” deriva dal latino e significa ‘notte uguale’, al dì.

Ma “aequus” latino, da cui deriva l’etimologia di Equinozio, ha anche un altro significato: “favorevole”, “opportuno”. Per cosa?

Oggi, festeggiando l’equinozio, celebriamo il momento in cui il sole passando sull’equatore, rende tutti i giorni uguali alle notti, in tutti i paesi della terra; una uguaglianza astrologica, un livellamento delle quantità di luce, che rende equivalenti le porzioni di ombra, attraverso la coincidenza, di una certa posizione del pianeta Terra, rispetto al Sole.

L’equinozio racconta di un equilibrio difficile da rappresentare, descrivere, mostrare, dal momento che esso traccia un luogo ideale, apparente, ideale, ed allo stesso tempo precario, sfumato, relativo.

E questo per due ragioni:

anzitutto per una questione formale parliamo di un movimento di luce e di ombra, che si verifica per azione e coincidenza dei moti di terra (moto di rivoluzione) e sole, per una danza tra i due, che diviene adesso perfetta, come un passo speciale, che richiede equilibrio; una danza che genera le variazioni, che ritualmente attribuiamo al sole.

Ci riferiamo ad un sole fisso, nella sua produzione di energia, ma in movimento, le cui intermittenze, sono causate anche e soprattutto, dalla nostra stessa rotazione: l’ombra è l’effetto del nostro stesso ingombro e deriva dalla azione e presenza della terra; questo è un fatto semplice, ma concettualmente rilevante, a mio avviso, nella comprensione della simbologia di relazione tra luce ed ombra: a questo proposito è interessante pensare ad una traslazione di significati e guardare alla terra come al corpo ed al sole come all’anima, come alla parte più profonda di noi ed immaginare e convincerci del fatto che siamo noi, attraverso l’uso della materia che ci tocca, il corpo, con le sue infinite attitudini, a dettare i motivi che sfumano le porzioni di luce, che possono o non possono manifestarsi.

In poche parole siamo noi l’ostacolo di noi stessi; siamo noi elementi attivi della nostra stessa ombra; l’ombra esiste perché è proiezione dell’elemento che la genera ed a cui appartiene: spesso abbiamo paura della nostra stessa ombra; a volte, non ci accorgiamo che la paura viene dalla nostra ombra.

Siamo allora noi, con la nostra inclinazione a perdere l’attitudine alla via della virtù, i colpevoli del vero e solo ostacolo al cambiamento; noi gli attori dei nostri ‘impedimenti’: “scavare oscure e profonde prigioni al vizio” è una azione personale.

Detto in altra maniera: solo noi possiamo tirare l’acqua dal pozzo. E’ inutile pretendere che sia qualcun altro a farlo per noi; assurdo pensare che non farlo possa condurci altrove quando abbandoniamo o deleghiamo o decliniamo la via della coscienza, della verità, della ricerca e del lavoro.

In secondo luogo, a causa della sua istantaneità, l’equinozio è difficile da disegnare: è un attimo; nella sua ineffabile transitorietà prelude e realizza già in sé il cambiamento che annuncia.

Potrebbe, ad esempio, essere paragonato al concetto di presente, che è la vera essenza della vita, il momento in cui si gioca la vera partita della vita e con la vita, tra passato e futuro.

Così è l’equinozio; e nel suo essere fondante il presente è allo stesso tempo inaccessibile, perché pensarlo vuol dire pensare ad un momento che è già passato.

Allo stesso modo, per un meccanismo simile, ci sfugge la possibilità di percepire a mio avviso, il valore intrinseco di questo momento astrologico simbolico; siamo incapaci, per nostra natura umana, a collocare il nostro essere nel mezzo; tra l’attesa, che precede l’equilibrio e lo spostamento immediatamente successivo, che lo supera; non riusciamo a posizionarci in quel frammento, nel nodo cardinale, che tiene la bilancia in equilibrio; nel taglio che separa neri e bianchi di una tastiera; nel luogo geometrico, che gestisce gli spazi, nel gioco degli scacchi.

E’ un enorme problema per noi, non riuscire a collocarci negli interstizi del tempo, tra uno spazio e l’altro; tra pensiero e pensiero, tutto scorre nella certezza inutile che nel ‘poi’, e non nel ‘mentre’, si esaurisca il senso della vita: che nella elezione e cultura del dopo, si concentri il luogo temporale della vita. Ancora di più, ritengo che l’idea di equilibrio di cui parliamo possa essere messa a paragone, per una questione di evidenze necessarie, con quella  linea immaginaria che separa il bianco dal nero nella scacchiera, che attraversa i pavimenti dei nostri templi; traccia che, lungi dal definire una differenza tra due momenti per creare separazione, in effetti, nel concreto, non esiste, finendo per assicurare continuità tra gli opposti, congiunzione, armonia, ed addirittura unione da tutto quello che è separato.

Ordo ab chaoe il suo opposto: è proprio nella doppia direzione, che realizziamo il senso delle cose.

Il nero ed il bianco rappresentano da sempre ed in molte culture l’archetipo che sintetizza il nocciolo del problema dell’esistenza; il nucleo nel quale si definiscono le dinamiche complesse e fondanti della natura;

– alcuni vedono nel passaggio tra i due colori una successione ordinata; il simbolo dell’uscita dall’indeterminato; la speranza di venire all’unità, partendo dal molteplice; la possibilità di rinvenire la trascendenza nell’immanenza; l’opera di spiritualizzazione della materia;

– altri vi vedono la massima separazione: ovvero l’auspicio e la promessa vittoria della luce sulle tenebre; la liberazione del bianco dal nero; quindi un’interpretazione dinamica e unidirezionale;

– altri ancora, una connessione dinamica; ovvero la stretta relazione reciproca e in divenire tra le due sfere, yin e yang.

Ne parla Guénon, ne parla Jung e in questo avvicendarsi, vi si ravvisa il senso di tutto quello che è creato, e di quello che non lo è ancora: una dinamica dell’esistenza in cui, azione e reazione sono strettamente collegate; una dinamica degli equilibri complessivi dell’universo, sintetizzata, nel segno della tradizione estremo orientale, di una circonferenza divisa da due semi circonferenze, che hanno ciascuno un raggio che misura la metà, della circonferenza principale; ed in cui, tanto il bianco, quanto il nero, assumono nel proprio spazio, una piccola sfera, quantità del colore opposto.

Il significato del simbolo, anche detto caos per sintesi, è riassunto nel principio che tutti gli esseri provengo dalla Unità principale, ma le loro modificazioni, nel divenire, sono dovute alle reciproche azioni e reazioni delle due determinazioni.

Allora la “realtà degli opposti” diviene un fatto addirittura necessario e la dialettica del bianco e del nero sembra appartenere ad una legge primaria dell’essere, imprescindibile: il processo di continua separazione e composizione degli elementi, per dare forma alla nostra esistenza, è parte di un principio parallelo e strettamente collegato, alla natura dell’universo.

In tal senso non ci resta che accettare l’immagine numerica ‘1+1=2’ e credere nel due, come realtà autonoma, ma sintetica, complessa; e tuttavia non esaustiva. Il 2 contiene in sé ogni principio e ogni fine dello spettro che dal bianco va verso il nero e viceversa, ma non sostituisce le sue matrici; siamo bene e male; siamo nel bene e nel male; siamo cielo e terra, siamo tra cielo e terra.

Uomo e donna incarnano perfettamente la dialettica degli opposti. L’unione del femminile con il maschile può generare la perfetta unione; maschile e femminile possono essere

separati, ma il loro condiviso e complementare incontro è una delle vie più nobili per realizzare la composizione degli opposti: avvicinare il segreto che è nel concetto dell’uno, del tutto, della totalità, caro ai teoremi orientali.

A questo punto mi chiedo come sia possibile guarire dall’ignoranza interiore, ovvero contribuire a se stessi ed alla crescita dell’umanità, attraverso la spiegazione e comprensione di un evento che, fino ad ora, si verifica ogni anno; e che con le oscillazioni di asse e di quanto altro sta continuando a cambiare, non sarà mai perfettamente uguale a se stesso: dov’è la chiave di accesso? Cosa è utile? E cosa non lo è? Come utilizzare il messaggio dell’equinozio?

E’ sicuramente importante ‘ricordare’ alla coscienza i fatti rilevanti dell’esistenza; e le vicende del sole rientrano in tali eventi; gli assetti dei pianeti ricordano l’ampia superiorità di qualcosa più grande che scandisce un ritmo ignoto e inaccessibile.

Possibile che sia sufficiente capire la meccanica fisico astrologica del fatto, per esercitare la funzione di travaso che ci consegna ad un gradino più alto della conoscenza?

A mio avviso non basta, non è sufficiente prospettare l’idea di un fatto per conoscerlo; per penetrarne l’essenza.

Bisogna capire una volta per tutte e bene; avere davanti agli occhi ben aperti, l’idea fondante di un simbolo, per far sì che la sua immagine sia illuminante, finale, definitiva; questo è l’obiettivo: scapolare la dinamica, per accedere al senso.

Spesso si comprendono le meccaniche di causa-effetto delle cose, ma si trascura il valore fondante dei ‘perché?’.

Causa-effetto non esauriscono gli orizzonti di senso. Assurdo pensare di terminare il compito di conoscenza, comprendendo la sola dinamica dei fatti, senza arrivare a superare anche di un minimo, l’accesso al sistema ovvero provare a tenere tra le mani la materia prima del creato, provare a toccare il movimento di ogni cosa: annusare la ragione intima del manifesto, che appartenga ad una faccenda banale o alta. E’ naturale che noi, non ce la facciamo, ma possiamo solcare le tracce del simbolo, usarlo per andare oltre.

Noi massoni, in quanto iniziati, guardando ai grandi uomini e spiriti della storia, guardiamo all’equinozio come si guarda al simbolo e cerchiamo, attraverso di esso, un dialogo con la sfera profonda: un’empatia ed una corrispondenza che aprano orizzonti alti e altri, come si fa con il processo alchemico, con l’alchimia, che segna il passo del processo di conoscenza e svelamento dei segreti.

Come agisce il simbolo è bene ricordarlo.

Sunballo, dal greco, tenere insieme: il simbolo è un sigillo che parla il linguaggio dell’inconscio; è l’istruzione, che dialoga col segreto mondo, che ci appartiene e che la coscienza, intesa come sistema razionale, ci impedisce di scorgere; è un meccanismo proiettivo, quando ci consente di vedere a specchio, nel profondo deposito di noi stessi; luogo attivo che trattiene, conosce, sa e muove agitazioni.

Giano è per antonomasia il simbolo più vicino all’idea di equinozio; uso la sua immagine per avvicinare ancora di più il senso di questa celebrazione. Sui monumenti romani, le due facce. Una tiene lo scettro, col volto di un anziano, da una parte; l’altra, di spalle, un giovane, la chiave tra le mani: i due volti segnano una barriera temporale, serrano tra due direzioni opposte, nascondono un segreto che si trova al centro: che è invisibile: il presente; chiave e scettro: tu apri e nessuno può chiudere; e quando chiudi, nessuno può più aprire:

evoca la necessità e urgenza, di una responsabilità attiva, rispetto al processo che conduce alla verità, che ci consente un affondo, nel sistema della conoscenza; noi e solo noi, siamo attori, adesso, del sollevamento dell’anima; dell’annunciazione di una vigilanza sulla nostra strana e folle inettitudine/inattitudine a vedere; noi, responsabili dell’abitudine a fraintendere i segni palesi della verità; noi, ciechi al cospetto di persone, fatti, cose, sistemi, realtà che suggeriscono continuamente la via: ecco il motivo dello scettro.

Il terzo invisibile, per Giano, è l’eternità del presente, l’infinito motore. Il terzo invisibile è per noi massoni la saggezza: ineffabile qualità che segna il punto intermedio e inafferrabile, che si colloca tra la fisica e materia, immagine visibile della forza e suadente e delicata della bellezza.

Cosa c’è tra luce e ombra?

Se tra passato e futuro, c’è presente, tra bellezza e forza, c’è saggezza, io dico che tra luce ed ombra, c’è il ponte del percorso che porta dall’una all’altra; il ponte di tutte le vicende di luce intermedie, che segnano l’andamento di un viaggio urgente e necessario che, va visto nel suo complesso, ma vissuto in ogni suo dettaglio, senza evadere alcun passaggio, anche il più sgradevole; senza affezione o legaccio, con nessun momento intermedio.

In questa “pausa” troviamo la realizzazione, l’Universo, noi stessi, il “Tutto”.

Tra luce ed ombra c’è quello stesso “Tutto”, quella scomparsa di ogni orgoglio umano di essere unico e migliore esemplare, in evoluzione e corsa, verso il domino sullo spazio manifesto.

In natura esistono alcuni esemplari di pesci che vivono unicamente per morire: tornando a deporre le uova proprio dove sono nati, muoiono per dare la vita.

Dov’è la luce? Perché l’ombra?

Mi sono domandato “quale luce” e “quando l’ombra”: cosa e quando e se esiste, al di là del simbolo dell’equinozio, la possibilità di ravvisare quell’equilibrio di cui ci parlano questi giorni che volgono a primavera.

Mi sono domandato se sia possibile godere, e non solo auspicare e sperare, che qualcosa bilanci tutto questo male, e che pesi dall’altra parte, sufficientemente.

Tutto questo dolore, in questo tempo della storia e dell’umanità, è insopportabile.

Oggi gli Iniziati sono coloro che, lavorando ad un possibile progetto di salvezza, hanno acceso la lampada della conoscenza e tengono saldo il timone della coscienza per scardinare gli schemi dell’egoismo, della prepotenza e della ignoranza e fare del “pensiero” la sola ragione.

Iniziato è colui che ha scelto di scegliere, che ha deciso per la libertà della propria esistenza, eletto l’uomo a fratello; colui che conosce se stesso; iniziato è colui che ama il prossimo, come se stesso.

Scrive René Guénon, ne “La Grande Triade”:

l’iniziazione, nella sua prima parte, quella che riguarda propriamente le possibilità dello stato umano e costituisce quelli che vengono chiamati i piccoli misteri, ha appunto come scopo, la restaurazione dello stato primordiale; in altre parole grazie a questa iniziazione, se effettivamente realizzata, l’uomo è ricondotto, dalla condizione decentrata, che presentemente è la sua, alla posizione centrale che normalmente gli compete e reintegrato in tutte le prerogative inerenti a questa posizione centrale.

L’uomo vero è perciò quello pervenuto effettivamente al termine dei piccoli misteri, ossia alla perfezione dello stato umano; in virtù di ciò, egli è ormai definitivamente insediato nell’Invariabile mezzo e sfugge così alle vicissitudini della ruota cosmica, perchè il centro non partecipa al movimento della ruota, ma è il punto fisso e immutabile, intorno al quale si effettua il movimento.

In questo modo, pur senza aver raggiunto il grado supremo che costituisce lo scopo finale dell’iniziazione e il termine dei grandi misteri, l’uomo vero, essendo passato dalla circonferenza al centro, dall’esterno all’interno, svolge realmente, rispetto a questo mondo che è il suo, la funzione di motore immobile, la cui azione di presenza imita, nel proprio ambito, l’attività non agente del Cielo.

 

La forma più tangibile e rituale che abbiamo per rappresentare l’equilibrio di cui racconta l’equinozio è nel segno della squadra e del compasso;
la forma più intima e quotidiana che abbiamo è il binomio veglia e sonno;
la forma più semplice negli obiettivi di vita concreta, profana ed iniziatica è la pratica di quella via di mezzo che è rintracciabile in ogni azione nel mondo quotidiano in linea con la virtù; amore è il veicolo primario della virtù.

Dobbiamo sforzarci di mettere il nostro essere qui ed ora, in quel termine di mezzo in cui si colloca la stella fiammeggiante: il cosiddetto ‘invariabile mezzo’.

Non senza ragione la Loggia dei Maestri è la Camera di Mezzo.

L’uomo vero, l’iniziato, colui che ha aperto il varco della conoscenza, non può più arretrare, semmai può attendere, fermarsi, sospendere, il viaggio; egli è già posto, tra cielo e terra.

Quando diciamo che il tempio è al coperto; quando diciamo che i nostri lavori si svolgono al coperto è perchè il tempio in cui ci troviamo è l’immagine del Cosmo e nell’apertura dei lavori, attraverso i rituali, noi abbiamo la copertura reale proprio del Cosmo che adesso ci cinge il capo e che campeggia alla luce del nostro tempio, sempre in costruzione.

Noi veri figli della luce siamo in equilibrio quando riusciamo, nel mezzo, tra sopra e sotto, ad essere noi stessi, attraverso noi stessi; a diventare lo strumento di accesso alle sfere più alte, certe e invisibili; quando spuntiamo ai piani più alti dell’esistenza. Il varco è enorme quando anche i gesti minimi sono esatti, perfetti, scelti.

Per queste ragioni, a noi, è meno concesso sbagliare.

Che il Grande Architetto dell’Universo possa consegnare nelle nostre mani, la chiave che misura e regola l’accesso di luce e ombra nel nostro cuore, nella nostra vita;
affinché la Primavera possa significare per ciascuno: “che la luce sia con voi”;
affinché l’Equinozio sia per voi lo sforzo dell’arciere, prima di scoccare la freccia;
affinché la Primavera sia il raggiungimento dell’obiettivo che coincide con il vostro più segreto, urgente, necessario e quindi legittimo sogno e desiderio di pace.

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