Panta rei

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Questa volta mi trovo a fare due passi accanto a un piccolo ruscello, che poi tanto piccolo non è perché contribuisce ad alimentare un laghetto.

Ora, in inverno, è stracolmo d’acqua. A volte persino troppa, in certi punti è esondato. D’accordo, l’acqua è vita, però a volte anche qualcosa di vitale ed assolutamente necessario per la propria esistenza può travolgere, può anche far male. Immagino che in estate la musica sarà ben diversa, tutta quella impetuosa esuberanza probabilmente si placherà, dapprima riportandone il livello almeno ai limiti consueti. E sì, perché è importante conoscere i limiti di quanto ci interessa, per  poterli rispettare ma anche per poterli tenere sotto controllo. Di fatto lì c’è un torrente, con un certo lume, con una certa conseguente capienza, che la natura ha voluto lì, modellando il suolo con pazienza, lungo le pieghe del tempo.

Se ci fosse troppo sole in estate poi si potrebbe anche vederlo seccare del tutto, bel guaio sarebbe. Più che la sua forza travolgente allora sarebbe il richiamo alla sua essenzialità quello che prevarrebbe: serve acqua per vivere o anche solo per rinfrescarsi un po’ e la sua assenza si farebbe molto più evidente anche a chi meno attenzione alla vita dovesse prestare.

Diciamo che mentre il pianeta continua cocciuto i suoi moti vorticosi attorno al sole, anno dopo anno, rivoluzione dopo rivoluzione, nei suoi punti “fermi” (che fermi, ovviamente, non sono ma ben individuabili sì: solstizi ed equinozi) ci ricorda sempre qualcosa di diverso. E nonostante la sempre possibile abitudine in agguato, ogni anno vedendo esondare quel ruscello in inverno per poi vederlo evaporare col calore estivo ci sorprendiamo, magari perché succede troppo presto rispetto al consueto o forse perché l’anno precedente non si è fatto particolarmente notare. Beh, dovremmo sorprenderci, penso, essendo vivi, dato che a parità di situazioni le emozioni che ci pervadono sono sempre diverse, perché diversi siamo noi, non solo ciò che ci circonda. È come vivere in una specie di rituale, una e un’altra volta, mantenendo sempre viva la capacità di viverne le diverse sfumature.

In certi punti l’acqua scorre placida, appena avvertibile perché la sua voce è così tranquilla e calma che risulta quasi del tutto sovrapponibile a quella del bosco che fiancheggia. Si sente appena. È armoniosa con l’intorno, questo la fa ancora più affascinante.

Però è sufficiente un sasso solo un poco più grande di quelli del fondo per far alzare la voce dell’acqua che lì si fa percepibile chiaramente. La cosa mi ha fatto pensare. Dapprima il fatto che quel sasso non è che debba fare qualcosa di particolare per far cambiare il tono del ruscello, tutt’altro. Deve solo stare lì. Il solo fatto di essere in quel punto è sufficiente ad alterare il contesto. Notavo poi che di conseguenza il flusso cambia, deve aggirare l’ostacolo, deve dividersi per poi ricongiungersi più in là. La (supposta) “realtà” cambia solo perché influenzata da ciò che la costituisce, ricorsivamente. Certo, quella pietra lì ci sarà pur arrivata in qualche modo, magari grazie all’impeto delle esondazioni degli anni precedenti o magari perché un bimbo per giocare chissà quale coraggiosa tenzone contro draghi giganti l’ha tirata proprio lì. Difficile saperlo con certezza, si possono fare ipotesi. Ma, mi chiedo, è poi così importante sapere come sia finita lì o è più intrigante ascoltare il timbro di voce del ruscello in quel punto? Personalmente tendo a lasciarmi cullare da quella voce in grado di spiccare su quella dei precedenti tratti perché nuova ma è una questione di sensazioni ed ognuno ha naturalmente le proprie.

Pochi passi più avanti noto scendere giù dal pendio che si sdraia placido dall’altro lato un secondo piccolo rivolo d’acqua. Si manifesta chiaramente ma non posso definirlo né torrente né ruscello, è talmente piccolo che appena si nota. Mi aspetto comunque che, per gravità, si ricongiunga all’altro corso d’acqua, quello che sto fotografando nell’altra direzione. Però mi accorgo di qualcosa di piuttosto strano: questo secondo rivolo d’acqua, pur se chiaramente udibile e visibile, a un certo punto sparisce. Mi avvicino un poco per osservare come fa e vedo che è proprio così. L’acqua c’è, arriva da lassù e non può sparire, da qualche parte deve andare a finire. Solo che a un certo punto sparisce, come assorbita dalla terra, qualche metro più in alto del correre del ruscello principale. Sicuramente si sarà creato un percorso tutto suo, magari scavando la terra in quel punto verso il basso, magari incuneandosi in qualche modo tra chissà quale tipo di fondo roccioso o magari grazie a una qualche canalizzazione artificiale invisibile. È certo che lì per lì sparisce ma è altrettanto certo che comunque in qualche modo arriverà al laghetto anche lui, seppure non subito palese. Ha solo scelto un percorso non ovvio, non così evidente. Chissà se qualcuna di quelle gocce le potrò incontrare l’estate prossima tuffandomi nel laghetto, perché no. Certo, sarà difficile riconoscerle, ma spero di farmi tenere a galla dalla piacevole illusione di riuscirci, anche se so che tutto scorre.

In ultimo, all’altro estremo del laghetto, seguendo l’acqua che ne esce per formare un altro piccolo ruscello, noto ad un certo punto una serie di massi stavolta piuttosto grandi, disposti in maniera abbastanza disordinata. In quel punto ciò che mi colpisce, oltre al differente tono di voce che le molecole d’acqua decidono di assumere, è il fatto che, osservando bene, attorno a quei massi i percorsi si moltiplicano, apparentemente in maniera molto disordinata. Mentre la gran parte del flusso scorre nella direzione principale, ci sono parti che vanno a destra e leggermente in alto, altre scendono a sinistra in direzione opposta, altre ancora sembrano volersi prendere una pausa fermandosi per un paio di giri in una piccola ansa che la stessa pressione dell’acqua ha scavato nel tempo, descrivendo un piccolo, lento moto vorticoso che pare così diverso da ciò che gli accade attorno. Diciamo che pare di vedere spargersi gli elementi di quel flusso impetuoso un po’ in tutte le direzioni, come se ognuno volesse prendere altre strade e, di fatto, almeno localmente, lo fa. A destra però c’è un altro tratto senza ostacoli, un altro di quei punti dove tutto sembra muoversi placido, in silenzio, senza sollevare altri dubbi, in maniera uniforme, dove tutto pare ricomporsi, però ricco degli stati e delle situazioni precedenti. Ha fatto esperienza.

È bello notare che, sia come sia, seppur con diversioni puntuali e magari in presenza di domande senza possibilità di risposte assolutamente dirimenti, sia con voci individuali e differenti, a volte calme in coro, altre volte urlanti a tratti, a volte anche divergenti, comunque qualcosa alimenta quel laghetto e qualcos’altro da quelle stesse acque sarà a sua volta alimentato, giù a valle.

È bello passeggiare d’inverno nei boschi da queste parti.

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