IL LAVORO DEI FIGLI DELLA VERA LUCE

Home Massoneria IL LAVORO DEI FIGLI DELLA VERA LUCE
IL LAVORO DEI FIGLI DELLA VERA LUCE

Nel Nord Europa e nei Paesi anglosassoni, sin dal tempo della Riforma, si è affermata l’ideologia riformata, in particolare calvinista, in base alla quale ogni essere umano è un predestinato.

Per i Riformati il vincitore della gara divina nel teatro della storia fu decisa molto prima che questa iniziasse con l’incarnazione dell’anima.

L’espressione chiara di questo pensiero la troviamo nella “Confessione di fede” di Westminster (1643-1646), redatta al tempo della guerra civile inglese allorquando la Chiesa d’Inghilterra dovette attuare un compromesso con i calvinisti puritani.

In quella “Confessione di fede” si afferma che per decreto di Dio, in manifestazione della sua gloria, alcuni uomini e angeli sono predestinati alla vita eterna e altri condannati alla morte eterna.

Il dibattito sulla predestinazione e sul peccato originale è antico, come dimostrano le posizioni di Pelagio, favorevole al libero arbitrio e di Agostino, più incline alla predestinazione. La Chiesa cattolica, tuttavia, con il battesimo e con i sacramenti, nonché con la condotta virtuosa, ha affermato nei secoli la via della salvezza come libera decisione comportamentale dell’essere umano.

Non così i Riformati, per i quali a nulla valgono le intenzioni e la volontà per cambiare il destino, in quanto tutto è già stato scritto.

Max Weber, in un suo scritto, divenuto un classico: “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” ci rende edotti del fatto che non sono le volontà che determinano la salvezza, la è rivelata dai risultati delle opere, che costituiscono il segno della predestinazione alla salvezza o alla dannazione.

L’ideologia calvinista introduce la concezione del lavoro come fine a se stesso, come Beruf (professione) nel senso di vocazione.

Il successo nella professione è il segno della grazia di Dio e questo “irrazionale” approccio al lavoro fa sì che l’uomo sia in funzione dei suoi affari e non viceversa.

L’aver compiuto il proprio “dovere professionale” è la modalità con la quale si colgono i segni della predestinazione alla vita eterna.

“Non si può ignorare – afferma Weber  nel prendere in esame l’aspetto irrazionale della vocazione professionale – che già nella parola tedesca «Beruf», come, in una maniera ancora più evidente, in quella inglese «calling», almeno echeggi una rappresentazione religiosa – quella di un compito assegnato da Dio – , e che diventi tanto più percettibile, quanto più energicamente accentuiamo la parola nel caso concreto”. [i]

Il Beruf diventa il dogma centrale di tutte le chiese protestanti, cosicché “l’unico modo di essere graditi a Dio non sta nel sorpassare la mondanità intramondana con l’ascesi monacale, ma consiste esclusivamente nell’adempiere ai doveri intramondani, quali risultano dalla posizione occupata dall’individuo nella vita, ossia dalla sua professione, che appunto diventa la sua «vocazione» [Beruf]”.[ii]

Questo dogma diventa estremo nel calvinismo e nel puritanesimo e si realizza anche nelle forme proprie del pietismo, del metodismo e delle sette del movimento battista, spingendosi fino all’affermazione che anche Cristo sia morto solo per gli eletti.

Questo dogma si “esprime – osserva Weber – per esempio nell’esortazione ad astenersi da ogni fiducia nell’aiuto degli uomini e nella loro amicizia, ammonimento che ricompare con una frequenza così vistosa specialmente nella letteratura inglese”. [iii]

 Nel Pilgrim’s progress il credente puritano si occupa solo di se stesso pensando alla propria salvezza. “Solo quando egli stesso è al sicuro – afferma Weber – gli viene in mente che sarebbe bello avere con sé anche la famiglia”. [iv]

Si costituisce così una nuova aristocrazia di eletti.

Con l’ideologia calvinista e puritana, scrive Max Weber, “al posto dell’aristocrazia spirituale dei monaci al di fuori e al di sopra del mondo subentrava così l’aristocrazia spirituale dei santi nel mondo predestinati da Dio dall’eternità”.[v] Un’aristocrazia che non conosceva alcuna indulgenza nei confronti di chi non era ritenuto predestinato alla salvezza. “A questa grazia divina degli eletti e quindi santi, infatti – scrive Weber -, non si addiceva, di fronte ai peccati del prossimo, un’indulgente volontà di aiuto, nella coscienza della propria debolezza, bensì l’odio e il disprezzo contro chi era considerato un nemico di Dio che recava in sé il segno dell’eterna dannazione”.[vi] “L’aristocrazia religiosa dei santi, che tanto più sicuramente emergeva nello sviluppo di ogni ascesi riformata, quanto più era presa sul serio, era poi (come accadde in Olanda) organizzata volontaristicamente entro la Chiesa, nella forma della conventicola, mentre nel puritanesimo inglese spingeva in parte alla distinzione formale, nella costituzione della Chiesa, fra cristiani attivi e passivi, in parte alla formazione delle sette”.[vii]

Il dogma della predestinazione conduce ad un egoismo esasperato e all’affermazione di una necessaria sicurezza di sé in quanto predestinato alla salvezza.

“Da un lato – scrive Weber -si afferma addirittura che è un dovere ritenere se stessi eletti e respingere ogni dubbio come assalto del diavolo, poiché la carenza della sicurezza di sé è conseguenza di una fede insufficiente, dunque di un’insufficiente azione della grazia. L’ammonimento dell’apostolo che esorta ad «assicurare» la propria vocazione [Berufung] qui è dunque interpretato nel senso del dovere di conquistare, nella lotta quotidiana, la certezza soggettiva della propria elezione e giustificazione. Al posto degli umili peccatori a cui Lutero promette la grazia, qualora si rimettano a Dio con contrizione e fede, vengono dunque educati quei «santi» sicuri di sé che ritroviamo nei mercanti puritani, duri come l’acciaio, di quell’epoca eroica del capitalismo, e, in singoli esemplari, fino a oggi. E, d’altro lato, era caldamente raccomandato il lavoro professionale indefesso, che era considerato il mezzo più eminente per raggiungere quella sicurezza di sé. Esso ed esso soltanto dissipava il dubbio religioso, e conferiva la sicurezza dello stato di grazia”.[viii]

Il Beruf si traduce anche in un inno alla ricchezza.

«Se Dio vi indica una via dove voi, senza pregiudizio per la vostra anima o per altri, secondo la legge, potete guadagnare di più che seguendo un’altra strada – commenta Weber -, e se voi la rifiutate e seguite il cammino che apporta un guadagno minore, allora voi contrastate uno degli scopi della vostra chiamata» («calling»), «voi rifiutate di essere amministratori» («stewarts») di Dio e di ricevere i suoi doni per poterli usare per lui, se lo dovesse chiedere. Certamente non per scopi della concupiscenza e del peccato, bensì per Dio, voi avete il diritto di lavorare al fine di essere ricchi».Nessuno sa ancora chi, in futuro, abiterà in quella gabbia, e se alla fine di tale sviluppo immane ci saranno profezie nuovissime o una possente rinascita di antichi pensieri e ideali, o se invece (qualora non accadesse nessuna delle due cose) avrà luogo una sorta di pietrificazione meccanizzata, adorna di una specie di importanza convulsamente, spasmodicamente autoattribuitasi. Poiché invero per gli «ultimi uomini» dello svolgimento di questa civiltà potrebbero diventare vere le parole: «Specialisti senza spirito, edonisti senza cuore: questo nulla si immagina di essere asceso a un grado di umanità non mai prima raggiunto».[ix]

“Specialisti senza spirito” è la profezia di Weber riguardo all’estremizzazione di questo dogma calvinista e puritano, che ha avuto effetti negativi nella genetica, nell’economia, nella valutazione delle fortune umane.

Se sei fisicamente integro, dotato di talenti, ricco, geneticamente appartenente ad un lignaggio ritenuto superiore sei tra i predestinati alla vita eterna. Se non hai queste qualità sei un dannato in eterno.

Gli effetti perversi della ideologia della predestinazione sono stati ampiamente evidenti nel secolo scorso con il nazismo e si stanno oggi palesando con gli atteggiamenti dei Paesi dell’Europa del Nord nei confronti di quelli dell’Europa mediterranea.

La  guerra dei Trent’anni  (1618-1648) non è affatto finita nelle coscienze e nella realtà.

A questo punto si apre una riflessione su quanto è affermato nei rituali massonici, così come sono riferiti dal testo di Salvatore Farina, Il libro completo dei riti massonici, riguardo al lavoro.

In uno dei rituali, si trova la seguente frase.: “Fratelli miei, eleviamo i nostri cuori in un pensiero comune per glorificare il lavoro, che è la prima e la più alta virtù Massonica. Lavoro! dovere sacro dell’uomo libero, forza e concordia dei cuori generosi! tu che tieni lontano gli uomini dalle cattive azioni, tu che rendi più dolci al cuore le carezze dei figli e l’affetto della compagna, sii glorificato! Sei tu, o lavoro, che ci dai modo di stimare noi stessi, che ci rendi migliori per gli altri, che ci proteggi contro la corruzione dei vizi, che ci assicuri la libertà, che ci insegni l’uguaglianza, che rendi mature le nostre anime per la divina fratellanza. Sii glorificato, o lavoro, sii benedetto dai Figli della Vedova per tutto ciò che di buono ci darai nel futuro! Gloria, gloria al lavoro!”.

Il lavoro è definito come “dovere sacro dell’uomo”.

La formulazione del Farina, per quanto datata, in quanto conferisce alla donna il ruolo di compagna dell’uomo libero, nelle affermazioni relative alla libertà, all’uguaglianza e alla divina fratellanza, si discosta, con tutta evidenza, dal dogma calvinista e puritano della predestinazione e del Beruf.

L’essere umano è, nella tradizione massonica, libero è lo ontologicamente, in quanto Ātman, “pensiero finito” dell’infinito pensiero della Mente infinita (Brahman). L’essere umano è ontologicamente uguale in quanto sorgente dalla stessa Mente infinita come individuo unico e irripetibile (uguale agli altri in quanto “sorgente da”). L’essere umano è fratello (in sanscrito bhrathar, metatesi della radice bhar, dal significato si sostenere, nutrire) ed è bhartr, colui [tr] che sostiene [bhar].

Considerando che la radice b ha il significato di energia e di forza vitale (da qui bíos, vita), la fratellanza si pone come sostegno energetico.

Figli della Vera Luce

L’essere umano è un figlio della Vera Luce. A dircelo con un’evidenza sconcertante è quanto è scritto nel Rigveda, V, 10, 129 , dovel’amore, in sanscrito Kama, è l’incontro Kam (Ka+m), l’unione tra la Luce creatrice Ka (potremmo dire la Vera Luce) e la realtà finita m, ossia tra l’infinito e il finito.

All’inizio, come si afferma nell’inno vedico, sorge Amore, Kama, perché l’inizio è l’eccitazione del campo che origina l’universo che non è il Tutto, ma un germe (Hiranyagarba) del Tutto e Amore è il primo seme della Mente, Manas, che deriva da man, dove m è la dimensione del soffio vitale, An, delle Acque cosmiche Na.

“La consonante m – spiega Franco Rendich – è all’origine di mātŗ «madre», il fattore femminile della creazione che conduce la divina immobilità di Eka ad incarnarsi nella terrena transitorietà di dvi, il «due». In altre parole Kāma, «amore», rivela l’unione tra l’infinito Ka e il finito m, nell’attimo in cui nasce il loro comune desiderio di creare la vita nell’Universo”. [x]

 “Il termine kāma – spiega sempre Rendich – deriva dalla radice verbale Kam «desiderare, amare», connessa con alle radici kā e kan «gioire, sentir piacere», la quale è composta, secondo chi scrive, da ka e dalla consonante m, simbolo del «limite». Pertanto «ciò che de-finisce m le Acque lucenti ka» o anche «la misura m del desiderio delle Acque lucenti ka» definiscono bene il senso della parola kāma. E’ mediante il piacere creativo di Kāma che Eka, l’Uno, invade con la sua luce ka l’impenetrabile buio delle Acque primordiali na e le sottrae al dominio del Nulla rendendole visibili”. [xi]  “Il legame tra essere e non essere […] che i sapienti vedici avevano trovato nei loro cuori, […] finalmente ci si rivela: è quello tra le Acque luminose dell’Uno, Eka e le Acque oscure del Nulla, Na”. [xii]

“D’altro canto – spiega Rendich – secondo quanto ci è stato tramandato, il kāma è sempre stato connesso con le Acque. La correlazione linguistica tra Ka «acqua», «luce»; Eka «luce sorgente dalla acque» e Kāma «dimensione gioiosa delle Acque lucenti» ci conferma la fondatezza di tale tradizione culturale. Ora, se a causa del desiderio sessuale di Eka il Kāma appare come la facoltà creativa e riproduttiva delle Acque luminose, che cosa rappresenta il Manas da cui il Kāma è sorto? Il termine Manas – aggiunge Rendich – deriva dal verbo sanscrito pensare. Se scomponiamo man nelle due radici che lo formano, m «limite» e an «avvio dell’energia delle acque», il senso di manas sarà «la misura m della vitalità delle acque an» ”. [xiii]

Con Manas entra in scena l’essere umano Nr o Nara (il cui significato è: giunge r dalle Acque n), il quale è anche Ātman, un respiro finito, una scintilla del respiro del Brahman, infinito pensiero che si espande (brh). In quanto giunto dalle Acque, l’uomo Nr da esse ha acquisito la sua capacità di generare e di conoscere JanĀtman, scrive Rendich, “è il moto at del pensiero limitato dell’uomo man teso al ritorno nel grembo delle Mente eterna”.

L’essere umano, pertanto, è figlio delle Acque primordiali Na e della Vera Luce Ka che a Na è coessenziale.

Vedi in proposito http://www.laboratoriocasadellavita.it/2020/04/05/lacerti-di-un-mondo-perduto-1/

E’ del tutto evidente che il lavoro del Massone è strettamente connesso con il suo essere Ātman, pensiero finito, oggi diremmo frattale o, più poeticamente scintilla, della Mente infinita.

Il concetto è ribadito e reso chiaro nel mondo celtico, dove l’Awen dei Druidi è la separazione di un “soffio” dalle Acque primordiali Na. Un “soffio” che acquista una definizione ulteriore con il concetto di Manred, i “semi” o “gocce di luce” che rappresentano gli esseri umani che si staccano da Ceugant, il Cerchio vuoto, ossia l’Origine, per incarnarsi sulla Terra.

Manred è scomponibile, sempre secondo il metodo di Franco Rendich, in man (pensiero) e red, dove r è avvio, ri è fluire e d è luce. Nell’insieme i significati ci danno per Manred: “Pensiero che fluisce nella luce”. In questo caso in causa è la luce creata. Il pensiero dell’essere umano fluisce nella luce creata, in quanto il suo respiro Ātman è un respiro finito.

Siamo “pensieri che fluiscono nella luce” creata e provenienti dalla Vera Luce: menti finite che provengono dalla Mente infinita.

Interpretazioni devianti del lavoro come dovere sacro.

Non sono mancate, tra i massoni, interpretazioni inclini a dare spazio alle linee di pensiero calviniste e puritane. Ne è un esempio preclaro Benjamin Franklin.

Scrive Benjamin Franklin: “Considera che il tempo è denaro; chi potrebbe guadagnare col suo lavoro dieci scellini al giorno e per mezza giornata va a spasso, o poltrisce nella sua stanza, anche se spende solo sei pence per i suoi piaceri, non deve contare solo questi; inoltre ha speso altri cinque scellini, o meglio li ha buttati via. Considera che il credito è denaro. Se qualcuno mi lascia il suo denaro esigibile, mi regala gli interessi o quanto ne posso fare per questo tempo. Ciò ammonta a una cifra considerevole, se un uomo ha molto e buon credito e ne fa buon uso. Considera che il denaro ha una natura feconda e fruttuosa. Il denaro può generare denaro, e i rampolli ne possono produrre ancora di più, e così via. Cinque scellini trafficati sono sei, nuovamente impiegati diventano sette scellini e tre pence e così via, fino alla somma di cento sterline. Quanto più denaro è presente, tanto più ne produce se impiegato, di modo che l’utile sale sempre di più. Chi uccide una scrofa, distrugge tutta la sua discendenza fino millesimo membro. Chi sopprime una somma di cinque scellini, uccide (!) tutto quello che si sarebbe potuto produrre con essa: intere colonne di lire sterline. Considera che – secondo il proverbio – chi paga puntualmente è il padrone della borsa di tutti. Chi è noto perché paga puntualmente alla data promessa può sempre prendere in prestito tutto il denaro di cui i suoi amici non abbiano bisogno. Ciò è talvolta di grande utilità. Con la diligenza e la moderazione nulla aiuta un giovane a farsi strada nel mondo come la puntualità e la giustizia in tutti i suoi affari. E quindi non trattenere mai il denaro preso a prestito un’ora di più di quanto hai promesso, affinché il risentimento del tuo amico non ti chiuda per sempre la sua borsa. Un uomo deve tenere conto delle azioni più irrilevanti che pure influenzano il suo credito. Il colpo del tuo martello che il tuo creditore sente alle 5 del mattino o alle 8 di sera lo tranquillizza per sei mesi; ma se ti vede al bigliardo o sente la tua voce all’osteria, quando dovresti essere al lavoro, il mattino dopo ti fa ingiungere di pagare, ed esige il suo denaro prima che tu lo abbia a disposizione. Inoltre ciò mostra come tu ricordi i tuoi debiti, ti fa apparire come un uomo sia preciso sia onesto, il che aumenta il tuo credito. Guardati dal considerare tua proprietà tutto ciò che possiedi, e dal vivere conforme a tale errore. In questa illusione incorrono molte persone che godono di credito. Per prevenirla, tieni un conto esatto delle tue spese e delle tue entrate. Se fai lo sforzo di considerare, per una volta, i dettagli, ne deriva una conseguenza positiva: scopri quali spese straordinariamente piccole vengano a costituire grandi somme, e noterai che cosa si sarebbe potuto risparmiare e che cosa possa essere risparmiato in futuro […]. Per 6 sterline all’anno puoi avere l’uso di 100 sterline, premesso che tu sia un uomo di provata accortezza e onestà. Chi spende inutilmente un grosso al giorno, spende inutilmente circa 6 sterline all’anno, che è il prezzo dell’uso di 100 sterline. Chi perde ogni giorno una parte del suo tempo per il valore di un grosso (e possono essere solo due minuti), perde, un giorno dopo l’altro, il privilegio di usare ogni anno 100 sterline. Chi spreca tempo per il valore di 5 scellini, perde 5 scellini, e tanto varrebbe che gettasse 5 scellini nel mare. Chi perde 5 scellini, perde non solo tale somma, ma tutto ciò che avrebbe potuto guadagnare impiegandola nella sua attività, il che ammonta a una cifra veramente rilevante, se si tratta di un giovane che giunge a tarda età». [xiv]

Concludendo

È, a mio parere, evidente che i Figli della Vera Luce, quando guardano a sé stessi (conosci te stesso) non cercano i segni della loro salvezza nel Beruf, ma intendono riconoscere quella “pietra” luminosa, quella Kepha, che è la loro mente, intesa come pensiero finito, per ricondurla all’origine ed elevare l’Ātman al Brahman.

È questa la Vera Luce alla quale aspirano i Massoni, la luce dell’Acqua primordiale dalla quale discendono e che, nel cuore della ritualità massonica, è quale Logos (Ka), che risiede nell’Archè (Na) e che illuminando l’oscurità avvia la creazione dei mondi. 

© Silvano Danesi


[i] Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Bur

[ii] Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Bur

[iii] Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Bur

[iv] Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Bur

[v] Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Bur

[vi] Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Bur

[vii] Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Bur

[viii] Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Bur

[ix] Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Bur

[x] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi Editore

[xi] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi Editore

[xii] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi Editore

[xiii] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi Editore

[xiv] Benjamin Franklin, citazione in Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Bur

Leave a Reply

Your email address will not be published.

error: Content is protected !!