I monaci tironianensi e la costruzione del Tempio – 2/2

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I monaci tironianensi e la costruzione del Tempio – 2/2

di Matteo Passeri

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CAP. IV I TRE FRATI

Tre monaci si incontrano tra il 1095 e il 1100 nella foresta di Craon, nella regione della Loira. Vi giungono, ciascuno per una strada diversa, dopo avere scelto di allontanarsi dalle rispettive abbazie essendo entrati in urto con il sistema ecclesiastico, e dopo avere girovagato a lungo per le foreste della Francia in cui praticano, per anni, il più rigoroso ascetismo. Sono, tutti e tre, monaci culdei ossia esponenti di quel sistema monastico conosciuto come “culdeo”, parola che deriva da “Céli Dé”, ossia “compagni” o “servi di Dio”. Un nome che ricorda quello di “amici di Dio” con cui si facevano chiamare i Fili irlandesi eredi dei Druidi.

Un sistema, quello culdeo, che non si arrivò mai a definire eretico perché si inseriva nella corrente del Cristianesimo Celtico, che in quei territori per molto tempo contese il primato al cristianesimo romano.  I Culdei sostengono un ritorno al cristianesimo delle origini, si concentrano sulla parte essenziale del messaggio evangelico, specie quello Giovannita, contestano aspramente lo stile di vita del clero e per questo vengono isolati, laddove non messi al bando. Naturale quindi che molti di loro si danno alla vita eremitica nelle foreste.

I tre monaci che si incontrano nella foresta di Craon sono: Robert D’Arbrissel (Arbrissel, 1047Orsan, 25 febbraio 1117); Bernard d’Abbeville, o Bernard di Tiron (Pontieu, 1050 – Tiron 1116) e Vitalis di Mortain, conosciuto anche come San Vitale di Savigny (Tiercevile 1060 – Dompierre 1122).

Nel 1105 Vitalis si sposta nella foresta di Fougères, ed è lì che Bernard lo ritrova, in una località denominata: “le chène savant”, ossia “la quercia sapiente”. La quercia è la pianta sacra per i druidi (ma per la verità anche presso altri popoli) ed è collegata all’idea della forza e della saggezza. Sotto la quercia il monaco tiene le proprie prediche. Viene fondato un insediamento monastico, fatto di ripari improvvisati, nella località che prende il nome di Chenedet, ossia in un querceto, e qui vengono formati i primi artigiani e costruttori che fonderanno l’ordine tironianense.

E ancora: nella foresta di Fougères sono tuttora presenti i segni chiari e tangibili dell’antica cultura druidica, ereditata dai monaci culdei. Ne sono testimonianza la c.d. Pièrre courcoullée, ossia un dolmen, nei pressi di Chenedet, e il c.d. “cordone dei druidi” che altro non è se non un cerchio di pietre con allineamento astronomico significativo sul modello di Stonhenge.

Non è l’unico spunto interessante sul piano etimologico. “Fougères” significa “Felci”; ci troviamo dunque nella foresta delle felci e queste ultime costituivano un ingrediente importante nella preparazione del vetro. I maestri in grado di lavorare il vetro avevano grande importanza. Si pensi ai vetri della cattedrale di Chartres, vere e proprie opere alchemiche. I vetrai avevano il rango di cavalieri con il nome di tempriers.

Insomma, i nostri monaci non potevano scegliere luogo migliore per riunirsi e per trasmettere il loro insegnamento, nel solco della Tradizione. E le fonti riferiscono che i tre frati eremiti si fecero presto conoscere anche come taumaturghi e guaritori, e per le loro strane pratiche rituali.

Ad un certo punto il numero di seguaci appare eccessivo, si forma una vera e propria comunità ai cui membri serve dare un riparo, un’istruzione, un lavoro. Ed ecco che si verifica a questo punto un’altra coincidenza.

Ciascuno dei tre monaci prende la propria strada e, radunata la propria gente, fonda dapprima un’abbazia e poi da vita ad un vero e proprio ordine monastico. Sempre sul limitare di una foresta. Bernard fonda, come vedremo meglio in seguito, l’Ordine dei Tironianensi, Vitalis fonda l’Ordine di Savigny e D’Arbrissel fonda l’Ordine di Fontevrault.

La cosa singolare è che in tutti e tre i casi i mezzi, sotto forma di terreni e denaro, vengono messi a disposizione dal Conte Rotrou III di Perche, sotto la supervisione del grande vescovo Yves di Chartres, che stimola, approva e sostiene il progetto.

          Rotrou III è imparentato con l’aristocrazia Anglo Normanna e prende parte alla prima crociata al seguito dell’esercito di Robert Curthose, Duca di Normandia, segnalandosi per il suo coraggio in battaglia. Successivamente, prende parte anche alla “Reconquista” spagnola. Sposa Matilda, figlia illegittima del Re d’Inghilterra Enrico I, di cui diviene importante vassallo e alleato nella lotta per il potere, e che gli affida l’amministrazione di territori anche in Inghilterra. Il giornalista investigativo e scrittore Philip Coppens identifica Rotrou con il Perceval di Von Eschenbach.

Enrico I regna in Inghilterra dal 1100 al 1135, estendendo il suo dominio anche al Ducato di Normandia. Si distingue tra l’altro per avere favorito il processo di integrazione tra anglo-sassoni e normanni. Sposa la sorella di Davide I di Scozia, aiutandolo a conquistare il trono della Scozia su cui si insediò nel 1113, a Scone, con il tipico rito di investitura celtico. Da Davide discende la stirpe dei Bruce, tanto importante nelle vicende del regno di Scozia.

Abbiamo quindi un intreccio di famiglie reali e di tradizioni (quella gaelica e quella normanna) molto significativo e che, come vedremo, ha anche molto a che fare con il nostro racconto.

CAP. VBERNARD DE TIRON

La fonte principale di notizie su Bernard d’Abbeville, o Bernard di Tiron, è costituita dalla “Vita beati Bernardi”, scritta tra il 1132 e il 1143 da Geoffry le Gros, monaco dell’ordine di Tiron uscito dalla famosa scuola di Chartres. Si tratta di una delle più complete e complesse agiografie del XII secolo, a conferma che Bernard è un personaggio degno di attenzione.

Abbiamo già detto che Bernard seguiva il rito celtico. La sua appartenenza a questa tradizione è stata confermata dal ritrovamento di un suo ritratto, nel 2005, nella cappella del Priorato di Notre Dame d’Yron, anticamente tappa nel pellegrinaggio per Santiago di Compostela, a 25 miglia da Chartres. Il ritratto è attribuito ad un altro monaco suo contemporaneo. Bernard vi è raffigurato con la tipica tonsura dei monaci culdei e, prima ancora, dei druidi.

Lasciati i suoi compagni, Robert d’Arbrissel e Vitalis, e con al seguito un nutrito gruppo di seguaci, per lo più costituito dalle maestranze già formate presso l’insediamento di Chanedet, nel 1109 Bernard si mette in marcia verso la regione della Perche dove intende chiedere al conte Rotrou, appena tornato dalle crociate, un terreno per fondarvi una comunità monastica, la cui regola più importante sarà l’apprendimento di un lavoro manuale, la formazione di artigiani, del legno e della pietra.

 Il suo sponsor più importante è il grande vescovo Yves di Chartres che probabilmente ha avuto un ruolo nel convincerlo ad abbandonare la vita dell’eremita.

Ovviamente il Conte è pronto nel concedere quanto richiesto. Dopo alcune vicissitudini, legate all’opposizione dell’ordine  Cluniacense che aveva a sua volta fondato un’abbazia nei pressi, viene individuato il luogo adatto: Thiron, un piccolo centro rurale ai limiti della foresta. Il Capitolo di Chartres approva, e nel 1114 viene eretta l’abbazia (in realtà, inizialmente, un piccolo monastero) di Tiron, oggi Tiron-Gardais.

Merita un accenno la presenza in quei luoghi di un culto molto sentito per la Vergine e per San Giovanni Battista.

Oggi (e non sono in grado di precisare da quando) è presente nel convento di Thiron una Madonna nera che è l’esatta replica della Virgo Paritura druidica presente nella Cattedrale di Chartres vicino al pozzo des Saints – Forts. Una volta l’anno, il 15 agosto, viene portata in processione a Notre Dame de Chartres in Rougement dove esiste un piccolo oratorio contenente una Madonna.

Quanto al San Giovanni Battista: “Un cervello di S. Giovanni è nell’abbazia di Tiron (…), un altro a Nogent-le Rotrou” (Collin de Plancy. 1821-22. Dictionnaire critique des reliques et des images miraculeuses. Paris. Guien). Dunque, abbiamo una reliquia di San Giovanni a Tiron ed una a Nogent le Rotrou, entrambi luoghi sotto il controllo del Conte Rotrou che partecipò alle crociate e che molto probabilmente venne in contatto con la corrente Giovannita e con il culto della Madonna, entrambi tipici dei Templari. La chiesa di Thiron ancora oggi ospita la statua di Sait Adjuteur di Vernon, che fu a sua volta Crociato e poi Priore presso l’Abbazia ove finì i suoi giorni. E ancora:  a 2 Km da Thiron c’è la chiesa di Saint D’Authon, dove si trova la statua del santo che regge la propria testa. Alla luce di queste coincidenze, e del fatto che ci troviamo in un contesto, come si è visto, in cui le antiche radici celtiche e druidiche sono ancora ben visibili ed operanti,  è plausibile sostenere che dietro al culto di San Giovanni vi fosse anche il più antico culto della testa tipico di quella tradizione.

Anche il nome “Thiron” porta con sé delle suggestioni notevoli.

“Tiron” viene dal latino e significa “iniziato, apprendista, novizio”. E l’abbazia di Tiron (o Thiron), nomen omen, sarà davvero una scuola iniziatica divenendo in breve tempo il principale centro di formazione di architetti, muratori, tagliapietre, e – in genere – di artigiani coinvolti nella costruzione delle cattedrali gotiche. Thibaut II, Conte della Champagne e di Chartres, coinvolge i monaci tironianensi  nella costruzione della cattedrale di Chartres, con la cui scuola filosofica i collegamenti sono documentati.

Secondo lo storico Charles Mayeux: “un’autentica scuola di artigiani, degna di essere chiamata “LA SCUOLA del XII secolo” viene fondata da Bernard da Tiron”. E ancora: “durante il XII e XIII secolo i monaci benedditini dell’abbazia di Tiron diressero la costruzione della nostra chiesa perché il monastero aveva stabilito una casa a Chartres nel 1117. Sappiamo anche che questo convento conteneva 500 fratelli che praticavano tutte le arti, e tra questi gli scultori, i tagliatori di pietre e i muratori erano numerosi. Appare quindi naturale che i monaci distaccati presso la casa di Chartres fossero gli uomini incaricati di disegnare i progetti di Notre Dame” (School of artisans – Joris – Karl Huysmans; La Cathédrale, 1898, cap. III)

Ma non è l’unico spunto di riflessione che ci si offre sul piano etimologico. Secondo alcuni studiosi ci sarebbe un collegamento con “Tir Eoghain” in Irlanda da dove viene il primo “ma can t’saoir” che significa “figlio del costruttore”  

Scrive Silvano Danesi nel suo “I riti Forestali”: “In Irlanda, nell’Ulster, c’è la County Tyrone o Contae Thir Eoghaid o anche Owensland, ossia la terra di Eóghan. Il nome Eóghan (irlandese), Eòghan (scozzese) e nella versione gallese Owain, deriva dal celtico êoghunn, che contiene il prefisso og, dal significato di giovane. Un probabile significato di Eóghan (Owain) è: nato dal Tasso (Taxus baccata) o nato sotto la protezione del sacro Tasso”. Il tasso era un altro albero sacro ai celti, associato all’importante festa di Samhain, momento cruciale dell’anno, in cui si diceva che la porta tra i due mondi (quello dei viventi e quello degli antenati) diventasse molto sottile. Da qui deriva l’attuale festa di Halloween. Ebbene, in latino il tasso è chiamato eburacum e tale era anche il nome, in antico, dell’attuale città di York “centro della regione del Northumbria, finì per essere identificata con la chiesa Celtica[1]. Ed è sempre a York che sono state redatte e rese pubbliche le prime costituzioni normative della massoneria, come ci spiega, con dovizia di particolari, sempre Silvano Danesi nel suo “Le radici scozzesi della massoneria – una catena iniziatica ininterrotta”.

Ma ritorniamo a Bernard, o meglio all’ordine monastico da lui fondato, che si espande con grande rapidità, sino a contare 117 tra Abbazie e Priorati sparsi tra Francia, Inghilterra, Scozia e Irlanda. Ma è soprattutto la Scozia che ci interessa.

Nel 1113 i monaci costruttori (si parla di un gruppo di 13 monaci) vengono chiamati da Davide I (destinato di lì a poco a diventare re di Scozia) a ricostruire l’abbazia di Selkirk (ma forse sarebbe più corretto dire: a istruire nell’arte muratoria le maestranze locali). Il nome gaelico originario di Selkirk è “Scheleschyre”, che contiene la parola “Schiels”, ossia legno. Dunque si trattava di sostituire la vecchia costruzione in legno con una in pietra. I Monaci Culdei, già presenti a Selkirk, hanno una tradizione nella costruzione di edifici in legno. I monaci Tironianensi hanno già compiuto il passaggio alla pietra, necessario vista la frequenza degli incendi in quell’epoca.

E’ certo che le confraternite dei costruttori avessero adottato dei propri rituali ed è plausibile che i rituali operativi del legno e della pietra si rifacessero ai medesimi simboli e archetipi. Ad esempio, una leggenda medievale tratta dal vangelo apocrifo di Nicodemo, ripresa e raccontata dal frate Domenicano Jacques de Voragine nel XIII secolo nel suo “La leggenda dorata”, narra che un angelo diede a Seth un pezzo dell’albero della vita dicendogli di piantarlo sulla tomba di Adamo, a Gerusalemme, per farci nascere un albero. Il giorno in cui questo albero avesse dato frutto, Adamo sarebbe risorto. L’albero crebbe ma non diede mai frutti sino a che Re Salomone ordinò di tagliarlo per farci la trave portante del proprio Tempio.  Senonchè l’albero, una volta abbattuto, non voleva saperne di essere tagliato e così, ritenuto inutilizzabile, venne gettato in un fosso dal taglialegna che era stato incaricato del lavoro. Sarà poi il figlio di questi, dopo la passione di Cristo, ad utilizzarlo per farci la croce della redenzione. E’ evidente la similitudine tra questa leggenda e quella, ben nota in massoneria, della pietra angolare: in entrambi i casi si tratta di un oggetto il cui valore sacro non viene compreso.

Ma non si tratta solo di uno scambio di tecniche di costruzione e di rituali. E’ in atto qualcosa di più importante. Il piano, riuscito, di Davide è di “travasare” l’ordine monastico scozzese-celtico dei culdei, inviso alla chiesa di Roma e di cui era stata decretata la soppressione, in un ordine monastico “accettato” come quello tironianense ma pur sempre di rito celtico, di origine Bretone (e quindi celtica) che condivideva con quello scozzese la filosofia e la tradizione. Pochi anni dopo, nel 1128, i tironianensi lasciano Selkirk e si spostano a Kelso dove costruiscono un’alta cattedrale. L’ultimo Abate  di Kelso fu James Stuart, monaco tironianense morto nel 1559, figlio naturale di Re James V. Dopo Kelso, sempre su richiesta di Davide I, i “nostri” monaci costruiscono Lesmahaugh, nel 1144, quindi Kilwinning (tra il 1140 e il 1189), Arbroath Abbey (1178) dove si dice fosse conservata la famosa pietra di Scone, legata al rituale per insediamento del Re nella Scoziaceltica, Lindores Abbey (1190), il Priorato di Fyvie (1214), Fogy (1256). Per quanto consta, tutti questi centri erano antichi siti Culdei e, prima ancora, vi sorgevano scuole druidiche. Questo vale in particolare per i due siti di maggiore importanza, Arbroath e Kilwinning, di cui diremo di seguito. 

CAP. VIKILWINNING

Kilwinning” è una cittadina sulla costa Ovest della Scozia, nel distretto anticamente denominato “Cunnigham”, attraversato dal fiume “Irvine”, che da il nome anche ad una vicina cittadina. Nel fiume Irvine è ancora visibile un grande masso conosciuto con il nome di “the Granny”. Qui nel 1140 Hugh de Morville, conte normanno chiamato in Scozia da Davide I, su richiesta di quest’ultimo convoca i monaci Tironianensi per costruire la cattedrale di Kilwinning. La cattedrale sorgerà in un punto collegabile in linea retta con un sito denominato “Salmon Hill”, la collina del salmone.

Abbiamo a che fare con almeno cinque toponimi molto interessanti che ci restituiscono un’antica leggenda celtica: secondo la storia, il salmone della conoscenza era divenuto tale dopo aver mangiato nove nocciole cadute nel Pozzo della Saggezza da nove alberi di nocciolo che circondavano la fontana. In questo modo il salmone acquisì tutto il sapere del mondo. Chi avesse, per primo, mangiato la sua carne avrebbe ottenuto, a sua volta, questo sapere. Il poeta Finn Eces trascorse sette anni cercando di pescare il pesce. Catturatolo, chiese al suo apprendista di cuocerlo, ma questi si scottò il pollice e immediatamente si portò alle labbra il dito, succhiandolo per lenire il dolore. Così facendo però assorbì tutta la conoscenza contenuta nel salmone e divenne il capo dei leggendari Fianna, i druidi – guerrieri. Finn poi, prosegue la leggenda, si innamorò di Grainne che cercò senza successo di sposare.

E torniamo alla nostra ricerca: Kilwinning deriva il suo nome da St. Winning, un evangelista arrivato dall’Irlanda meglio conosciuto con il nome di St. Finan (o Finn, o anche Finnian). Senza addentrarci troppo nel discorso, basti qui dire che, dietro a questo personaggio, si cela “Finn”, il druida primordiale, archetipo dell’uomo che ha raggiunto la conoscenza. Trattandosi  di druidismo, la conoscenza di cui si parla è la conoscenza della natura e delle sue leggi.

“Irvine”, talora scritto anche “Irwin”, in gallese è “Gwin”, che equivale all’irlandese “Finn”. Siamo, dunque, ancora nella casa di Finn.

“Cunnigham”, scrive Shaun McDowell Linton nel suo “HOLY JERUSALEM, HOLY GRAIL” deriva dall’antico Sassone “Canawan” che significa “Casa della conoscenza”[1].

Kilwinning, tracciando una linea retta, può essere collegata con la “Salmon Hill”, e ci risiamo: il salmone, nella mitologia celtica, è profondamente legato alla conoscenza, e non è difficile comprenderne il motivo, sul piano simbolico, se pensiamo al viaggio a ritroso della corrente che ogni anno questo pesce percorrere per tornare all’origine.

Secondo alcuni la “Granny Stone” sarebbe un masso erratico ma secondo una tradizione orale molto radicata sul posto si tratterebbe dell’unico superstite di un cerchio di pietre perduto quando è stato modificato il corso del fiume. la Granny Stone rimanda a “Grainne”, la donna di cui si innamora Finn, che a sua volta potrebbe rimandare a Grannos, divinità protettrice delle sorgenti. E infatti un’altra leggenda narra del miracolo di St. Winning che, poco a Sud dell’attuale cattedrale, avrebbe fatto sgorgare una fonte d’acqua che ancora porta il suo nome. Altre storie simili interessano altre fonti o pozzi nella zona.

Il nome antico di Kilwinning è “Segdoune” che in gaelico significa “Città Santa”. La cattedrale di Kilwinning sorge dunque su un luogo sacro che rivestiva sicuramente una grande importanza per i druidi e, dopo di loro, per i culdei, ed è circondata da un anello di chiese celtiche. E’ voluta da un Re celtico (Davide I) che chiama a costruirla dei monaci bretoni (quindi celti) che hanno abbracciato il rito celtico. Potrebbe non essere un caso se in quegli anni si diffonde in tutta Europa il ciclo Arturiano, che affonda le radici nella mitologia celtica, e in particolare la leggenda del Re Pescatore che qualcuno, come si è ricordato, ha voluto identificare con il Conte Rotrou e che comunque si attaglia alla perfezione con i luoghi che abbiamo descritto.

Fatto sta che Kilwinning è universalmente riconosciuta come “Loggia Madre” o “Loggia 0” della massoneria. Si ritiene che la prima tornata massonica avvenne nella Sala Capitolare, o “Chapter house”, che misurava 19 x 38 piedi, un quadrilungo perfetto.

In un testo edito a Parigi nel 1820, dal titolo “La Maçonnerie”, si legge che: “Giacomo Lord Stewart, ricevette nella Loggia di Kilwinning, nel 1286, i conti di Glocester e dell’Ulster, l’uno inglese e l’altro scozzese”. (Tratto da: “the new statistical account of Scotland” – Vol V -1915).

Nel 1314, dopo la battaglia di Banockburn (vinta, si dice, anche grazie all’aiuto dei cavalieri templari rifugiatisi in Scozia), Robert Bruce fonda l’Ordine massonico Hérédom di Kilwinning, assumendone la maestranza e facendo di questa una carica ereditaria. La carica passo poi a William Sinclear, barone di Roslin (per inciso: anche la celebe Rosslyn Chapel pare fu costruita dai Tironianensi) ed alla sua famiglia. La Loggia Madre di Kilwinning continuò a distribuire patenti anche dopo la costituzione, nel 1736, della Gran Loggia di Scozia, e precisamente sino al 1807.


[1] In realtà in molti vocabolari si trovano altri significati ed in particolare, in gaelico, il nome Cunnigham deriverebbe dal gaelico e conterrebbe il significato di “forza”


[1] Maureen Concannon, “la femmina sacra”, Arteikos, cit. da Silvano Danesi ne “le radici scozzesi della massoneria”.

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