L’Oiw dei Druidi: fondamento inconoscibile di ogni cosa

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L’Oiw dei Druidi: fondamento inconoscibile di ogni cosa

L’Oiw (pronuncia Oiun), è il trilittero con il quale viene designato dai Druidi il Fondamento inconoscibile dall’uomo se non attraverso le sue manifestazioni. [1]

Il fatto stesso che il Fondamento sia inconoscibile lo rende innominabile, ossia senza nome e pertanto Oiw è un trilittero che non è il nome del Fondamento. 

L’uso di tre vocali per chiamare un dio inconoscibile ed innominabile appare assai diffuso.

Molte divinità hanno nomi composti da vocali: il dio sumero EA e la sua forma indoeuropea, l’urrita A’a; Iô è uno dei nomi della Dèa Madre; gli esseri divini alla testa di Shemsu-Hor o Anime divine (seguaci, emanazioni, compagni di Horus) si chiamavno Wa e Aa, detti Signori dell’Isola della Violazione; Yhwh o Yhwe (Yeoe); Vāyu, il vedico Signore delle energie vitali; Ioa, il demiurgo gnostico. Iahu, divina colomba, era il nome della Dèa sumerica, epiteto poi passato a Geova. [2] Eros (Fanete, il Sole) era Iao[3]. In Giappone la legge mistica del cosmo viene chiamata Myō hō e “la legge mistica – scrive Daisaku Ikeda – in sostanza è analoga a ciò che in altre religioni viene chiamato Dio, ma è diversa da Dio in quanto è totalmente immanente all’universo e alla vita umana”. [4]

Per quale motivo le vocali sono spesso usate per definire o invocare la divinità?

“Nei «tempi storici» – scrive Guy Trévoux –  pare che i Greci e gli Ebrei ellenizzati abbiano considerato queste primitive articolazioni delle vocali immediatamente dettate all’uomo dall’inconscio, ossia dalla Divinità, per cui ritennero di poter dedurre, partendo dalle sole vocali, il nome della Divinità stessa o le acclamazioni più adatte ad invocarla. Essi pensavano infatti che fosse inutile ricercare l’etimologia di parole quali Evohe (Evoe) o Yahwe (Yaoe) che divennero, ancor più tardi, l’esclamazione Aeiou dei Compagnons du Tour de France, pronunciato quando questi si trovavano all’aperto per evocare così, inconsapevolmente, la Divinità nella sua forma primordiale” [5].

Tuttavia Trévoux non rinuncia ad una ricerca etimologica e propone una derivazione di Yahwe ed Evohé da Iô, uno dei nomi della Dèa Madre, e collega Iô a Vāyu. La Wau, spiega Trévoux, deriva da un geroglifico egiziano che rappresenta un uomo in preghiera con le braccia alzate, la sua sonorità è intermedia tra F,W,Ô, OU, U e ha assunto il significato di ponte, di mediazione tra cielo e terra. Interessante anche constatare come una città sacra come On (Eliopoli in Egitto), luogo primario del regno degli Shemsu Hor, fosse anche chiamata Aunu, Ounu, Iwnw.

L’Oiw e il Campo quantico

Non mancano, dunque, gli esempi, nel mondo antico, di vocalizzazioni di un nome della Divinità che rimane tuttavia sconosciuta o di luoghi sacri.

Il riferimento  etimologico più interessante lo abbiamo nell’indoeuropeo e nel sanscrito.

Se analizziamo l’Oiw, la cui pronuncia è oiun, con il metodo di Franco Rendich[6] abbiamo la seguente sequenza semantica:

  1. U (la W è la doppia U) significa stabilità, concentrazione.
  2. O è un incremento di U.
  3. I è moto continuo.

L’insieme ci dice che siamo di fronte al concetto di un infinito movimento che rimane stabile e concentrato in se stesso. Non a caso la residenza dell’OIW è Ceugant, il cerchio vuoto.

Il cerchio è in effetti il simbolo di un infinito che si avvolge su se stesso, come l’ouroboros.

Nelle due immagini: Horus bambino, il Sole nascente circondato dal serpente Mehen, nel Papiro di Dama-Heroub e l’Uroboro disegnato nel 1478 da Theodoros Pelecanos in un trattato alchemico intitolato Synosius.

Nell’immagine egizia, Horus, neter della luce, è avvolto dal serpente benefico Mehen, che ha il compito di proteggere la barca solare nel suo percorso. Al neter Mehen (mhn è serpente arrotolato)  è dedicato un gioco antico, risalente alla III dinastia, dal quale potrebbe derivare il gioco dell’oca.

Un approfondimento del significato dell’Oiw ci viene dalla sua pronuncia, che comprende una n finale (oiun). La n, secondo il metodo Rendich, è una consonante riguardante le Acque primordiali, le quali sono caratterizzate da un’estrema concentrazione, da estrema stabilità e da estrema stasi, ma anche da un moto continuo.

Oiw è pertanto la descrizione dell’immobilità in movimento, del paradosso che caratterizza n, le Acque primordiali, il Tutto racchiuso in se stesso, immobile e in movimento.

Trova qui una diversa spiegazione anche il simbolo di Mehen, in quanto potrebbe essere la rappresentazione delle Acque Primordiali che avvolgono la luce, così come il nero, che è invisibile in quanto racchiude in se stesso ogni colore e, pertanto, non emette alcuna informazione. Il bianco, al contrario, è l’insieme di tutti i colori, ossia di tutte le varianti della luce.

Il nero luminoso è l’Oiw, l’Archè, il Fondamento di Informazione Significante, racchiuso in se stesso con massima concentrazione, immobile eppure in perpetuo movimento manifestativo di quella luce che è il bianco.

In altri termini oggi potremmo dire che l’Oiw è il campo quantico, perennemente immoto e perennemente in movimento, il quale, con il crearsi e l’annientarsi continuo delle sue eccitazioni (particelle), origina un universo di fotoni (luce) che sopravvive e vive continuamente, così come, con un fenomeno asimmetrico (una particella che non ha la sua controparte e che esplode), dà origine all’universo materiale (spazio temporale, ossia gravitazionale) .

Oiw, un equilibrio dinamico che respira (spiritus)

Nella vocalizzazione dell’indoeuropeo troviamo le vocali a, i, u, r (sonora), essendo la e e il dittongo ai incrementi di i e la o e il dittongo au incrementi di u.

Il significato della i è: moto continuo, andare, alzare. Il significato della u è: stasi, permanenza, stabilità, forza.

Nel nostro caso siamo di fronte con OIU (la grafia W è equivalente a U) ad una stabilità e ad una forza enfatizzata (o), ad un alzarsi, andare, ad un moto continuo (i) e ad una nuova stasi, ad una permanenza, ad una forza, in questo caso non enfatizzata. Parrebbe un respiro trinitario, dinamico, la cui valenza non cambia se ne modifichiamo la grafia in IOU, essendo i tre aspetti della stessa realtà un equilibrio dinamico.

Un equilibrio dinamico il cui simbolo è il triangolo.

Nella simbologia, il triangolo equiangolo è simbolo di dynamis, parola greca che significa movimento, dinamicità e, per estensione, vibrazione, onda, parola e che inizia con la condonante Delta, Δ.

Dinamis è una forza, una potenza in movimento. Il triangolo equiangolo inscritto in un cerchio ci dà l’esatta idea di un’infinita potente fissità che è in perpetuo movimento.

Inoltre, se consideriamo il cerchio come una O e il triangolo come una D, sorprendentemente ritroviamo, con il metodo Rendich, il concetto di una concentrazione stabile (O) che contiene la luce (D), da cui div, giorno e cielo, ma anche dayus, splendore. La luce, come ci insegna la fisica, possiede la massima velocità possibile nello spazio-tempo, ossia nel manifestato. Il nero luminoso contiene la luce. La fissità contiene la dinamicità. I simboli ci sorprendono sempre.

OIU o IOU, considerata l’equivalenza di O e U, potrebbe anche essere letto UIU o IUU. L’aspetto invocativo dell’esclamazione appare evidente. Le seguaci di Iô , ad esempio, gridavano Iou-Iou.

In OIV o IOV troviamo il dittongo Io, la vacca di Giove, uno dei nomi della Dèa Madre mediterranea. Iô è vacca come Brighit, come la vedica Aditi, come l’egizia Hathor, ossia donatrice di latte luce, energia vitale che dal cielo scende sulla terra, luce superiore. Iô diventa la vacca di Giove solo dopo l’avvento degli dèi patriarcali, ma prima di questa inversione di valori è l’autonoma donatrice della vita.

Anche in Giunone, Iuno, troviamo le stesse vocali e anagrammando troviamo lo stesso suono della pronuncia di OIV, ossia, Oiun.

Juno si interessa alle calende, ovvero al calendario, come Jano ed è quindi possibile che esistesse un’antica coppia divina di Juno e Jano, precedente a quella Juno Juppiter. Jano è un dio degli inizi, dei primordi, un dio iniziatore, divinità di tutti gli ambiti. Jano, dalla radice indoeuropea yā, significa andare, passare, agire, entrare, uscire. Jano è dunque dio del “passo” o del “passaggio”, è mobile, come il dio del vento e dell’aere Vāyu.  Jano è stato concepito come aere o come guardiano dell’aria per due ragioni: perché l’aere è il passo naturale tra terra e cielo e perché è “genitor vocis”, così come il Vāyu vedico, che è il sostrato della Vāc, la parola che crea. Vāyu è concepito come le quattro direzioni dei venti, Jano come due forze e due aspetti opposti riuniti.[7]

Vāyu è il dio che ha l’onore di essere invocato per primo.

In un mito dei Brāhmanas si narra che quando Indra combattè contro Vritra, non convinto di averlo ucciso con la sua lancia, pensò, con gli altri dèi, che sarebbe stato opportuno andare a controllare. Venne chiesto a  Vāyu di eseguire questo compito e Vāyu chiese cosa gli dèi gli avrebbero dato in cambio. “La prima invocazione rituale,  vasat, nel sacrificio del Re Soma”, risposero. Vāyu andò, constatò la morte di Vrtra e si guadagnò così il primo posto tra gli dèi.

Data la sua totale flessibilità e la sua reversibilità e il suo essere primo, Vāyu corrisponde adeguatamente al mistero e all’ambiguità del “Nascosto”, ovvero del dio inconoscibile e originario.

Oiun è, come è stato già accennato, un suono molto simile a quello di Vāyu, dio vedico del vento, “ovvero del soffio vitale dell’energia di vita (prana) che rende possibile ogni esistenza manifesta. In Rg Veda, X,90.13, esso viene indicato come «respiro del Purusa»”, [8] il Purusa divino, il Toro quadricorno, le cui corna sono: Esistenza, Coscienza, Beatitudine e Verità infinite. [9]      

Vāyu, in quanto soffio vitale dell’universo, respiro del Brahman, è il Signore della Vita. Vāyu nel mondo vedico, quando si tratta dell’azione divina delle forze della vita nell’uomo, viene sostituito da Agni, nella forma di cavallo vedico. [10]

Va notato come l’assonanza Oiun Vāyu e la concordanza delle funzioni (respiro) possono indicare la comune origine.

Interessante anche il riferimento a Yhwh (Yahve o Ieue), divinità del mondo ebraico. Il dio inconoscibile è l’En sof, che trascende completamente la creazione. Quando l’En sof si concentra (Sim) e poi emana (Sum) abbiamo un processo dinamico composto da Yod – emanazione, he – creazione, waw – formazione, he – realizzazione.  Yawe (Ieue), è la rappresentazione di tutti i mondi e di tutti i livelli della realtà.

Il fatto che dei dittonghi o dei complessi vocalici costituiscano il nome degli dèi o definiscano la dinamica della manifestazione di un unico dio sconosciuto e inconoscibile o, infine, rappresentino una invocazione a Dio in lingue tra loro diversissime come l’indoeuropeo e gli idiomi derivati, gli idiomi di ceppo semitico o il giapponese, ci induce a pensare che questi complessi vocalici appartengano ad una modalità espressiva universale, che risale alle prime espressioni dell’uomo.  

Siamo di fronte a complessi vocalici usciti spontaneamente dall’inconscio ed esprimenti, come avviene ancora oggi, insieme stupore, meraviglia, gioia, successivamente accostati ad azioni o a modalità comportamentali, come lo stare, l’andare, per poi complessificarsi in parole e frasi.

Vocali per invocare

Se così fosse potremmo ben dire che il pensiero dell’uomo era rivolto al Divino sin dalle sue lontane origini e che sin da quei tempi remoti l’uomo lo ha invocato con forme come OIUN, YEVE, IÔ, AA, EA, WA, EVOE, UAIU, che nella sostanza sono la medesima invocazione.

Se poi consideriamo più da vicino la cultura celtica dell’Europa nord occidentale e ne constatiamo la caratteristica sincretica della grande tradizione della Dèa Madre (IÔ, IUNO, ecc.) con quella patrilineare indoeuropea, possiamo pensare che i druidi non abbiano avuto difficoltà a coniare un nome-invocazione del Divino che, come OIUN non si discostasse dalle due tradizioni. Lo stesso dicasi per l’innesto successivo, dove lo schema OIUN è simile, nell’essenza, a quello ebraico (e cristiano) di YEUE.

Lo stesso ragionamento lo possiamo fare per gli schemi trinitari (la Dèa è triplice, il Brahman lo è come Sat-Cit-Ananda, triplice è lo schema classico indoeuropeo e triplice è la divinità cristiana).

Un’attenzione particolare dopo quanto s’è detto, va posta a Iô. Se, infatti, OIU (n) è assonante con il vedico Vāyu, Iô, la vacca divina, forma della Potnia, è anche Iao (‘Ιω ‘Ιωό ) assonante con IOU (n), altra forma di Oiw.  Iô è la divinità principale degli Ioni (Ιωνες) così chiamati  da uno Iων, nipote di Ellen, padre di Aiolos, eroe supremo degli Indoeuropei. Jon fa dunque il paio con Ellenes, essendo entrambi indoeuropei ed essendo gli Ioni provenienti dagli altipiani della Frigia. Indoeuropei, del resto, erano anche gli Achei. Gli Iones erano figlio di Iô – Iao.

Un interessante riferimento riguarda En-Ki, divinità dell’acqua dolce che si trova nel sottosuolo e che da questo affiora (sorgenti), assimilato ad EA sumero, divinità del getto d’acqua e della residenza nell’acqua, dimorante nell’Apsu: un dio civilizzatore grazie, appunto, all’acqua dolce, che favorì l’allevamento del bestiame e l’agricoltura.

Maria Teresa Camillani, nel suo interessante saggio sulle antichità adriatiche e tirreniche[11], propone un collegamento tra Iô  e l’acqua. “Iô – scrive- è l’acqua; a mio avviso  la forma greca è la trascrizione del dio sumerico EA (È-A), che cerca di rendere il nome AIA o forse IA, Ia’U (in testi neobabilonesi e neoassiri si trovano E-A e A-E), di un personaggio divino proprio dei Semiti e da loro sincretizzato in EN-KI, «Residenza dell’acqua o nell’acqua»”.

“Sin dai poemi omerici – scrive ancora la Camillani – troviamo usati aia e aion. Questi due nomi sono probabilmente due formazioni derivate dal dio semitico AIA sopra ricordato, che si sono diversificate a livello morfologico e semantico: il primo significa “terra”, il secondo “riva”. Se teniamo presente l’equivalenza di EA e EN-KI («Residenza dell’acqua o nell’acqua») arriviamo a capire αια, terra, i cui contorni si sono realizzati dalle acque, terra circondata o lambita dalle acque, e di αιων (aion, ndr), riva, che è appunto delimitato dall’acqua. …. Il dio accadico EA, immigrato nell’Argolide «assetata», povera d’acqua, è divenuto col tempo una sacerdotessa: a questa si è assegnato il padre, che è un dio delle acque dolci (Inaco,ndr)”. [12]

EIA, inoltre, è un’antica divinità illirica, femminile di EUS, buono. [13]

Iô, secondo Uberto Pestalozza, è caucasica Mater illustre e Ιων (Ion) eponimo degli Iones era figlio di Iô e paredro della Dèa. [14] 

Iô e Iôn costituiscono  una coppia divina antichissima, di origini indoeuropee e potrebbe avere qualche parentelacon quella di Juno e Jano.

Iô, a contatto con la cultura pelasgica mediterranea si fonderà con Hera e, successivamente sarà sottoposta, per inversione patrilineare, al volere di Giove.

L’evidente contaminazione della cultura celtica con quelle indoeuropee e mediterranee è chiaramente resa ulteriormente palese dal viaggio di Giasone, intimamente legato ad Hera. La nave di Giasone, costruita da Athena con un pezzo della quercia oracolare di Dodona incastrata nella prora, dall’Adriatico penetra in una delle bocche dell’Istro e dall’Istro nell’Eridano (il Po) e da questo nel Rodano, finalmente avendo sulla destra i Celti e sulla sinistra i Liguri. La nave raggiunge poi il mare di Sardegna, approdando in Lazio, Campania, Lucania. [15]

Giasone costruisce templi ad Hera ed è chiaro che il simbolico viaggio dell’eroe rappresenta la diffusione di Hera nel Mediterraneo e in terre celtiche e liguri.

In questo caso il sincretismo di OIU (n) IOU (n) potrebbe contenere in sé il profumo antico della Dèa Madre Iô, Mater illustre indoeuropea fusasi con la cultura pelasgica mediterranea.

Pare evidente, dopo quanto abbiamo sin qui scritto, ricorrendo agli apporti di illustri studiosi, che la denominazione del dio sconosciuto con le vocali OIU (n) e IOU (n) da parte  dei Druidi ha sufficiente retroterra antico per non essere una tarda invenzione e per essere, al contrario, un’antica forma sincretica che dà un nome alla dinamica di manifestazione di un dio sconosciuto.

© Silvano Danesi


[1] Ottima, in proposito, per avere un’idea approfondita dell’Oiw, la trattazione di Riccardo Taraglio in: “Il vischio e la quercia”, edizioni Età dell’Acquario).

[2] Robert Graves, I miti greci, Longanesi

[3] Robert Graves, I miti greci, Longanesi

[4] Daisaku Ikeda, La vita, mistero prezioso, Sonzogno

[5] Guy Trévoux, Lettere, cifre e dei, Ecig

[6] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi editore

[7] Vedi in proposito Uberto Pestalozza, Nuovi saggi di religione mediterranea – Sansoni

[8] Sri Aurobindo, Il segreto dei Veda, Aria nuova edizioni

[9] Vedi Sri Aurobindo, Il segreto dei Veda, Aria nuova edizioni

[10] Vedi Sri Aurobindo, Il segreto dei Veda, Aria nuova edizioni

[11] Maria Teresa Camillani, Antichità adriatiche – Antichità tirreniche – Ellemme

[12] Maria Teresa Camillani, Antichità adriatiche – Antichità tirreniche – Ellemme

[13] Vedi Maria Teresa Camillani, Antichità adriatiche – Antichità tirreniche – Ellemme

[14] Vedi in proposito Uberto Pestalozza, Nuovi saggi di religione mediterranea – Sansoni

[15] Vedi in proposito Uberto Pestalozza, Nuovi saggi di religione mediterranea – Sansoni

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