La piramide simbolo della manifestazione

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La piramide simbolo della manifestazione

L’inizio del periodo ‘storico’ in Egitto è – secondo Boris De Rachewiltz – nello stesso tempo un punto di partenza e un punto di arrivo. Se da un lato esso segue, infatti, l’inizio della civiltà faraonica, testimonia anche l’arrivo di un nuovo impulso, proveniente dall’esterno, espressione forse del periodo terminale di una precedente e sin qui ignota civiltà”. [1]

Se l’ipotesi di Boris De Rachewiltz ha un senso, vale la pena di indagare l’antico Egitto con l’occhio rivolto a possibili messaggi criptati, relativi ad antiche conoscenze perdute a causa dell’incuria del tempo e dell’oblio degli uomini.

Carlo Rovelli scrive che “i miti si nutrono di scienza e la scienza si nutre di miti” [2].

Se quanto afferma Rovelli ha un senso, proviamo a leggere i miti in una possibile chiave scientifica, cercando di trovarne la coerenza interna, con l’ausilio del pensiero di studiosi di varie discipline.

Tum Atum, la piramide e il campo quantico

Nell’antico Egitto la teologia eliopolitana ci trasmette l’informazione che Tum Atum, “Colui che è-Colui che non è”,  è emerso dall’oceano primordiale, il Nun, in forma di piramide. Un oceano, il Nun, che evoca il campo quantistico fondamentale, costituito da campi di radiazione (bosonici) e da campi di materia (fermionici) dove le particelle nascono da eccitazioni del campo e si annichilano nel campo. Non è impossibile pensare alle particelle che si creano e si annichilano come a Colui che è Colui che non è. Il concetto di eccitazione ricorda il vedico tapas, l’ardore, l’energia essenziale, l’origine stessa del mondo o, meglio, dei mondi.

Interessante anche il riferimento, che balza alla mente, al rituale massonico, laddove è detto: “Che la Sapienza illumini il nostro lavoro”, seguito da: “Che la Forza lo renda saldo” e da: “Che la Bellezza lo irradi e lo compia”. La sequenza è che il Fondamento informativo (Arché) illumini (azione) e che la forza (le possibilità) lo renda saldo (dalla potenza all’atto, dalle possibilità alla determinazione), ossia dia luogo a energia e a materia, così come è detto a proposito della Bellezza, ossia del campo morfogenetico o se si vuole della Natura, che irradia (campo bosonico, campo elettromagnetico) e compie (campi fermionici, materia).

La piramide, nella quale si materializza Tum Atum, si pone, nella teologia eliopolitana, come simbolo della morfogenesi manifestativa: dell’esistenza (ex sistere, stare saldo, stabile). 

Concetti analoghi li troviamo nella cultura Maya.

Hunab ku, l’energia divina che si manifesta come piramide

Nella simbologia Maya i numeri che vanno dall’1 al 13 rappresentano l’energia dell’universo che pulsa attraverso la rete cosmica ed è presente ovunque. Questi numeri rappresentano l’impulso che tiene tutto in movimento: sono le onde del grande mare.

Il 7 è numero apicale di un’onda energetica e ne rappresenta il punto di massima potenza.

Il 7 presso i Maya è il numero divino ed è anche correlato alla piramide, come in Egitto (7 e 11); è un numero mistico associato alle Pleiadi (skhef in antico egizio), la cui stella più luminosa è Alcyone. Strana coincidenza: Alcyone è a una distanza dalla Terra di 400 anni luce, esattamente quanto misura il lato della piramide di Cheope in cubiti reali.

I sette toni Maya si intrecciano con 20 simboli solari, a costituire il tessuto dell’esistente. Un tessuto dell’esistente che è l’espressione del Grande Spirito e Creatore dei Maya, Hunab Ku: un vortice di energia dal quale proviene ogni cosa.

“«Hunab» – spiega Magda Wimmer – è la parola per significare l’energia divina e «Ku» significa piramide. Hunab Ku è l’autore del movimento e della forma e il suo simbolo è la piramide, che si propone, pertanto, come elemento primario della geometria sacra. Ogni anno, quando i giorni tornano ad essere più lunghi delle notti, i Maya incominciano a preparare il ritorno del messaggero divino. Egli discende nel mondo inferiore per liberare la luce. Nel giorno in cui, in primavera, il giorno ha la stessa durata della notte (equinozio di primavera), egli appare in questo mondo sotto forma di piramide, con il capo ornato di lunghe piume, dai colori dell’arcobaleno, in segno di rinascita della luce”. [3]

La piramide, conseguentemente, è una forma geometrica strettamente connessa con il manifestarsi dell’energia nella materia.

La Grande Madre e le piramidi di pietra nera

In Grecia Afrodite Morpho era, come la descrivono Paolo Tranchina e Maria Pia Teodori, la cosmica divinità creatrice, ossia colei che ha una forma, che cambia forma, l’archetipo, l’a-priori assoluto, l’ontologia metafisica di tutte le forme. “Per questo le bastava […] la piramide di pietra nera triangolare”. [4]

Afrodite Morpho, psicologicamente rappresentante in termini junghiani l’anima e l’animus, in quanto maschile (Afrodite barbuto) e femminile, era rappresentata a Cipro, nel III millennio a.C. , nel tempio di Paphos, da una pietra nera triangolare piramidale protetta da una semplice tettoia.

Una pietra simile è custodita alla Mecca “vestita di un bianco panno dai sacerdoti che si chiamavano ‘figli della vecchia donna’. Sin dalle più lontane origini la pietra nera veniva attribuita alla Grande Madre, la triplice dea del mondo arabo”:[5] Al Uzza o Huzzal, al Lat e al Menat. Le tre divinità erano chiamate i begli astri e rappresentavano i tre volti di Venere, la quale è associata e, nella mitologia, spesso confusa, con Sirio, la egizia Spdt, detta la Puntuta (il suo geroglifico è  un triangolo isoscele).

Agdis la grande roccia dalla quale nacque Agditis, invincibile dea ermafrodita a Pessinunte, in Cilicia, la città della Grande Madre Cibele, fu portata a Roma come pietra nera.

In una moneta romana “la dea come pietra nera triangolare si erge sotto una grande copertura retta da due colonne sormontate da stelle”. [6]

La piramide e la scala tra terra e cielo

I Misteri di Mitra – scrive Albert Pike – venivano celebrati in caverne i cui cancelli erano sistemati ai 4 punti equinoziali e solstiziali dello zodiaco. Vi erano rappresentate le sette sfere planetarie che le anime dovevano attraversare, scendendo dal cielo delle stelle fisse agli elementi che racchiudono la terra; vi erano indicati anche sette cancelli, uno per ogni pianeta attraverso i quali passavano, scendendo e risalendo. Apprendiamo ciò da Celso, il quale, secondo Origene, dice che l’immagine simbolica di questo passaggio tra le stelle, usato nei Misteri di Mitra, era una scala che andava dalla terra al cielo, divisa in sette gradini o momenti a ciascuno dei quali corrispondeva un cancello, e alla cui sommità si scorgevano le stelle fisse. Il simbolo era lo stesso di quello dei sette Stadi di Borsippa, la piramide di mattoni vetrificati, presso Babilonia, fabbricata in sette strati, ognuno di colore differente. Nelle cerimonie di Mitra, il candidato passava attraverso sette spaventose prove di iniziazione, delle quali l’alta scala, con sette scalini, era il simbolo”. [7]

Notare come il numero sette ricorra continuamente.

Quanto scrive Pike introduce i concetti di pietra come dimora del divino e di scala come collegamento tra la terra e il cielo: due simboli del rapporto tra due diverse e comunicanti realtà.

Giacobbe, nella Bibbia (Genesi XXVIII, 12-19) posa il capo su una pietra e vede in sogno una scala posta tra la terra e il cielo, sulla quale gli angeli salgono e scendono.

La pietra è il bétyle, bêth élohîm, la casa di Dio e i betili sono anche monumenti a somiglianza di montagne o di cime appuntite. Le piramidi, in questo senso, si pongono come enormi betili, ossai enormi case del divino.  

Batila è il femminile di betil (batil) e indica un torrente, una fonte o un pozzo in vicinanza di un betil. Lo schema è diffuso. Brixia, ad esempio, è una fonte che sorgeva alla pendici del colle dedicato al dio Bergimo. La radice *berg riconduce ad un’altura e la radice *bri a un’espansione, quindi a qualcosa che sgorga. Qualcosa che sgorga sta alla base di qualcosa che emerge solidamente. In altri termini potremmo pensare ad un’energia, di cui la fonte e il torrente sono simboli, e alla materia, della quale è simbolo la pietra eretta.

Il rapporto acqua pietra lo troviamo in molti luoghi sacri. Sotto la cattedrale di Chartres convergono 14 rivi d’acqua. Le piramidi messicane sono costruite su cenoti, ossia su laghi di acque ritenute sacre.

Da studi effettuati dall’archeologo Armando Mei, anche sotto le piramidi della piana di Giza c’era acqua in abbondanza.

La scala, come collegamento tra terra e cielo, è presente anche nelle piramidi Maya, fatte a gradoni sui quali, all’equinozio di primavera, il sole disegna un serpente di luce, simbolo di Quetzalcoatl, sintesi delle energie terrestri (serpente) e celesti (piume).

Le piramidi di Giza e la matematica della manifestazione

In Egitto è possibile ricavare un’interpretazione della piramide, che in egiziano antico è Mr (Mer), come Tempio dell’Uomo, ove la piramide, nel suo complesso rappresenta il corpo e il piramidion la parte della testa, contenente l’occhio di Horus, il quale si propone come un codice dalle molte valenze. 

La piramide di Cheope, come è ormai attestato dalle molteplici misurazioni, presenta codici numerici e geometrici come il 3,14 e il numero aureo 0,618, ossia i  numeri più significativi riguardanti le proporzioni del corpo umano, come è dimostrato dal noto disegno di Leonardo da Vinci: l’uomo di Vitruvio.

L’Udijat, come è ormai noto da studi condotti da valenti studiosi e come è scritto nei testi egizi, è la rappresentazione grafica di proporzioni numeriche rappresentabili anche come frazioni.

Nelle “Regole per i sacerdoti del tempio di Kom Ombo”, si legge: “…non fate torti alle frazioni dell’Occhio di Ra” e Ra è Horus.

Le frazioni (1/64, 1/32, 1/16, 1/8, ¼, ½, 1/1) indicano, nel loro insieme, l’unità in termini di 64/64. Questo per quanto riguarda l’Occhio destro. L’Occhio sinistro, mutilato da Seth e ricomposto da Thoth, è incompleto, ossia è 63/64. Manca un sessantaquattresimo.

Il pyramidion rappresenta simbolicamente ed esplicita geometricamente la manifestazione, la quale, da un punto infinitesimo si estende, secondo regole matematiche, nel limite della materia.

La sua luminosità deriva dall’essere il fuoco apicale della struttura (pyramide) che gli Egizi chiamarono Mer, con il significato anche di canale, e che i Greci denominarono pyramide (da pyr = fuoco) in conseguenza della sua apparenza infuocata, dovuta al rivestimento in oricalco dell’apice.

Nel pyramidion sono contenuti gli Udjat, gli occhi di Horus l’Antico (in seguito attribuiti  a vari Neter).

L’Occhio è definito sacro, in quanto sede dell’Uno che procede dall’Uno, ossia del Demiurgo che procede da se stesso: concetto identico a quello giovanneo del Logos che procede da se stesso in quanto theos, che è presso di sé (theon) in Arché.

L’Occhio è un insieme frazionario in base 64 e il 64 è un numero di fondamentale importanza per l’alta matematica della manifestazione, peraltro connesso con il Dna.

Le formule del Libro dei Morti, che celano elementi ritualistici iniziatici, sono costruite – scrive Boris de Rachewiltz – secondo “un’occulta geometria ritmica, nella quale le cadenze, le accentuazioni da una parte, e le forme grafiche dall’altra, danno un risultato esprimibile in termini di alta matematica”. [8]

Uno degli aspetti più interessanti delle piramidi meglio studiate è la loro somiglianza dimensionale.

  • Le altezze sono difficilmente misurabili perché non sono quelle originarie.

Un raffronto tra le piramidi sopra menzionate e le costellazioni introduce un messaggio che ritroviamo nella Tavola Smeraldina: “Così in alto come in basso” e viceversa. Il cielo riprodotto in terra è forse la lettura più facile e più evidente, ma una lettura più approfondita potrebbe dirci che così come in terra ci sono corpi di pietra, in cielo ci sono corpi di luce.

I numeri e la geometria sacra

Il messaggio è osiriaco e ci potrebbe dire: “Tu che sei un corpo materiale sappi che sei anche un corpo di luce”.

Se sono davvero possibili letture di messaggi criptati, la lettura dei numeri relativi alle piramidi è di assoluta rilevanza anche a fini spirituali.

Le piramidi più studiate sono quelle della piana di Giza e sono anche quelle che, nel contesto della cultura egizia antica, ci forniscono, per ora, le maggiori indicazioni.

Le dimensioni della piramide detta di Cheope aprono un importante capitolo relativo alla geometria sacra e alla conoscenza dei moti stellari.

Il Pi greco è una costante matematica, indicata con la lettera greca, scelta in quanto iniziale di περιφέρεια, circonferenza in greco. Nella geometria piana viene definito come il rapporto tra la lunghezza della circonferenza e quella del suo diametro.

L’Uno tutto uscito dalla sua circolarità, ossia dal suo essere allacciato in se stesso, si estende in una trinità e in un’infinità di decimali. La periferia dell’Uno si estende nell’infinita linearità.

Ogni numero pensabile è già nell’infinita serie dei decimali.

Il numero aureo ø è invece il numero morfogeneticamente più diffuso in natura.

La piramide di Cheope sta all’interno di una forma fondamentale della geometria sacra: la vesica piscis.

Il triangolo ACD è la piramide di Cheope

Interessante notare come il simbolo massonico della squadra e del compasso sia una forma ricavabile, per similitudine, dalla vesica piscis. La squadra è a 90 gradi e il compasso massonico ha il vertice, e quindi l’apertura, a 60 gradi. Il compasso indica la circolarità e ricorda la numerazione sumera in base 60 e 10. Interessante anche il rapporto spazio e tempo. I 360 gradi del cerchio, ossia sei volte 60 gradi, erano pari a 12 beru. Un beru, equivalente a 30°, valeva due ore. L’apertura del compasso, con questo sistema, oltre a valere 60 gradi, ossia un sesto di cerchio, vale anche due beru, ossia 4 ore.

Richiamare la numerazione in base 60 e 10 è di grande importanza, in quanto molte misure sono espresse in questo modo e riguardano la pratica di numerare basata sulla mano. L’opposizione del pollice sulle falangi, le falangette e le falangine dà una numerazione in base 12.  

Il 12 è un numero tradizionalmente legato a fenomeni celesti (lo zodiaco, ad esempio) e a una tradizione sacra. Il quadrato di 12, ossia 144, è indicativo del ciclo breve di Sirio (36 settimane di 10 giorni per 4 anni.

Il Tempio massonico in chiave egizia

La riga del Maestro delle Cerimonie della ritualità massonica rivela, a questo punto, tutta la sua valenza di chiave. La riga con la quale il Maestro delle Cerimonie scandisce la sua deambulazione, stabilisce il collegamento tra Venere, Sirio e il Sole.  

Il rapporto Sirio-Venere è infatti calcolato con il numero 144, in quanto 72 cicli di Venere corrispondono a 144 anni di Sirio.  (144=72 per 2).

Sirio, inoltre, è,  nel calcolo,  nuovamente messa in relazione con il moto apparente del Sole anche dal numero 72, in quanto 72 anni solari corrispondono ad un grado di precessione.

Inoltre 72 x 2920 giorni (ciclo di Venere) = 210.240 giorni e 144 anni di Sirio x 1460 anni solari (durata di un anno di Sirio) = 210.240 anni. 

L’equivalenza Venere-Sirio consente di spostare l’attenzione su Iside (Sirio) che è la madre di Horus, che è Aldebaran e i cui occhi sono il Sole e la Luna.

L’Occhio di Horus, dunque, non è il Sole, ma Aldebaran e poiché Horus è detto “Colui che comanda ai due soli”, ossia alla Luna e al Sole, è del tutto evidente che ha un “terzo occhio”, ossia che il suo Sacro Occhio è altro dal Sole e dalla Luna.

Vedi in proposito (http://www.laboratoriocasadellavita.it/2018/08/05/il-sacro-occhio-di-horus-lantico-e-la-stella-dellascesa/).

In questa nuova prospettiva il Tempio si trasforma da greco in egizio, ossia nella sua versione originaria. Venere è Sirio, ossia Iside, la madre di Horus, il cui occhio Aldebaran (costellazione del Toro) è a oriente. Dietro ad Ercole si nasconde Orione (Sah), il Cacciatore e Orione è Osiride.

Si costituisce in questo modo un triangolo sacro che unisce Iside (Venere), che sta a sud giorno, ossia nella parte luminosa del cielo,  con Osiride (Orione), che non a caso sta ad occidente in quanto è il dio degli Occidentali, ossia del mondo notturno e con l’occhio di Horus, che sta ad oriente. Dietro a Minerva spunta Neith, la primordiale creatrice del cosmo o Sia, la deificazione di Sa, l’Intelligenza universale.

Accanto al triangolo sacro c’è dunque Neith, colei-colui (Madre-Padre) che ha creato il cosmo.

I Tempio massonico passa da una simbologia e da una mitologia greca, le cui valenza sono di indubbia importanza, alla mitologia e alla simbologia egizia e, al contempo, da una concezione soli lunare ad una concezione stellare.

Assume a questo punto un significato preciso anche il canone egizio sulla base del quale ho ricostruito la figura dell’Antropocosmo, essendo al contempo il Tempio massonico il Tempio del Cosmo (al quale presiede Neith) e il Tempio dell’Uomo, al quale presiedono Iside, Osiride e Horus.

Il canone egizio prevede una suddivisione del corpo umano in un reticolo di 18 porzioni. Fino alla 18^ linea, che corrisponde alla pineale, il corpo è inserito nel reticolo. Rimangono oltre la 18^ linea, ossia nel 19° segmento del reticolo, la corteccia cerebrale e i lobi frontali, che corrispondono alla parte dell’essere umano che è in collegamento con l’Intelligenza universale in quanto Ba, l’essenza presente, il Dasein di Heidegger, l’essere nel mondo.

Neith (o Sia), l’Intelligenza universale creatrice, è in collegamento con il cuore, che è Haty nella sua forma corporea, ma JB in quella spirituale. Il cuore è la sede di Sia.

Nel Tempio di Abydos il segreto della vita

La vesica piscis apre un interessante capitolo sul rapporto tra la cultura egizia, qui rappresentata dal “Fiore della vita” inciso nel tempio di Abydos, dove si dice fosse conservata la testa di Osiride.

Dalla vesica, come mostra la figura, si ricava, per successive fasi, il fiore della vita, il quale ha molte similitudini con la morula, l’insieme di cellule che precedono la formazione del feto.

Il cuore della vesica piscis, ossia la losanga formata da due triangoli equiangoli ha molte altre significative applicazioni in natura. E’, ad esempio, la forma che assumono le coordinate di Lagrange e che consente alla Luna e ai pianeti di percorrere le loro orbite senza cadere sulla Terra o sul Sole.

La piramide di Cheope presenta inoltre proporzioni di indubbio interesse matematico che in questo contesto non è possibile sviluppare.

La dimensione della piramide di Chefren, che l’archeologo Armando Mei riporta al numero 137,  introduce un importante riferimento alla struttura dell’universo.  

Il numero 137 si riferisce alla costante di struttura fine, indicata con la lettera greca α, ed è un parametro che mette in relazione le principali costanti fisiche dell’elettromagnetismo. Essa esprime la costante di accoppiamento che caratterizza l’intensità dell’ interazione elettromagnetica.

La costante di struttura fine ha una grande importanza nella teoria filosofico-scientifica del principio antropico; difatti questo parametro adimensionale ha una influenza fondamentale sull’universo. Se il suo valore fosse diverso anche di poco (circa il 10-20%) dal valore noto, l’universo sarebbe diverso da come lo vediamo, e le leggi fisiche non sarebbero come le conosciamo. Per esempio i rapporti tra le forze attrattive e repulsive tra le particelle elementari sarebbero diversi, con conseguenze sulla costituzione della materia e l’attività delle stelle.

La piramide di Cheope, inoltre, introduce il tema del rapporto con il cielo. In antico egizio la piramide si chiamava Mer (Mr), ma Mer significa anche canale e i canali cosiddetti di aereazione puntano verso precise costellazioni. Un fatto di assoluta rilevanza, in quanto apre in grande capitolo dei numeri relativi alle costellazioni, alle stelle e ai loro moti in relazione alla geometria sacra. Vediamo, dunque, di scavare tra i numeri e nei rapporti tra il cielo e la geometria. 

Due numeri speculari evidenziano il rapporto tra Venere e Sirio

Il numero 73 è associato a Sirio (Iside), mentre il numero 37 è associato a Venere. I due luminari erano spesso considerati una stessa espressione della Dea Madre Cosmica Universale (Iside, Venere, Afrodite, Astarte, e via elencando).

L’associazione del numero 37 a Venere deriva dal fatto che lungo le rive del Nilo Venere era denominata la stella “che apre il tempo” (stella del mattino) e perdeva 111 giorni in 37 anni.

Il ritmo di visibilità di Venere è di 2920 giorni (8 anni vaghi di 365 giorni 365×8=2920).

Il 73 è un numero che collega i cicli di Venere con quelli di Sirio e con quelli del Sole.

*dobbiamo considerare l’anno vago di 365 giorni (senza il bisestile). La levata eliaca di Sirio, con l’anno vago, si sposta di un giorno ogni 4 anni e dopo 1460 anni solari il ciclo riprende da capo.

Una strana coincidenza nel calcolo associa il ciclo di Sirio (Iside) con quello del Sole: 1460:4=365

C’è anche un collegamento tra il numero 73, associato a Sirio e il numero 52, associato a Thoth: il numero 52 (Thoth) moltiplicato per 365 dà 18.980 e il numero 73 (Iside-Sirio)moltiplicato per 260 dà 18.980.

Il numero 260 è parte delle terne pitagoriche ed è esattamente un terzo di 780, che è il periodo sinodico medio di Marte. Il pianeta rosso ha un moto apparente retrogrado di 72 giorni. Il periodo sinodico di Venere è di 584 giorni, ossia 73 moltiplicato 8.

Il numero 73 costituisce pertanto il fattore perfetto per molti cicli astronomici misurati dagli Egizi intorno al 3.500 avanti Cristo: anno solare vago 365=5×73; ciclo di Venere 2920=40×73; l’anno di Sirio o Grande Anno 1460=20×73 (1460 o anno di Sirio  o anno Sothiaco si riferisce all’intervallo tra due levate eliache che avvengono nello stesso giorno dell’anno solare); il sorgere eliaco di Sirio avanza di un giorno ogni 4 anni vaghi (ossia fissi di 365 giorni), 365×4=1460 anni vaghi

Sirio sorgeva eliacamente il 19 luglio nel 139 dopo Cristo.

Il 73 riguardava anche la rotazione del cielo di un grado egizio per effetto della precessione: 219=3×73 ed i suoi multipli: un intero ciclo di precessione (21.900=300×73), due cicli di precessione (pari al tempo dell’uomo biblico) 43.800=600×73 e otto cicli di precessione era  considerato il tempo necessario per raggiungere il conclusivo equilibrio dei moti celesti.

Due cicli di precessione, ossia 43.800 anni, comprendevano 30 anni di Sirio: 1460×30=43.800

Il numero 73 è legato a Sirio in quanto è in 7300 anni che Sirio percorre l’intero ciclo della sua variazione di azimut del punto di levata (variazione annua di 0’,3 ossia 37°,32 in 7300 anni).

Il numero 7300 è uguale a 1460×5.

Il sacerdote poteva stabilire che Sirio si spostava ogni 100 anni di un diametro lunare (valutato30’,7) e quindi l’intero percorso era di 73 diametri lunari.

In 21.900 anni il punto di levata eliaca di Sirio avrebbe descritto tre volte l’intervallo angolare delimitato dai punti d’arresto estremi della luna, per ampiezza totale pari a 73×3=219 diametri lunari. Il tempo impiegato da Sirio per tornare allo stesso punto all’orizzonte, cioè 14.600 anni è 10 anni di Sirio (10×1460).

Il 73 è dunque anche numero legato all’universo fisico del movimento degli astri e Sirio, ad esso associata, si pone come elemento centrale dell’intero sistema.

Il numero 72, la precessione e la geometria del numero aureo.

Il rapporto Sirio-Venere è anche calcolato con il numero 144, in quanto 72 cicli di Venere corrispondono a 144 anni di Sirio.  (144=72 per 2).

Sirio, inoltre, è,  nel calcolo,  nuovamente messa in relazione con il moto apparente del Sole anche dal numero 72, in quanto 72 anni solari corrispondono ad un grado di precessione.

Inoltre 72 x 2920 giorni (ciclo di Venere) = 210.240 giorni e 144 anni di Sirio x 1460 anni solari (durata di un anno di Sirio) = 210.240 anni. 

Vediamone ora alcune corrispondenze astronomiche e geometriche del numero 72.

Gli anni relativi allo spostamento di un grado precessionale sono 72 e  72×360 dà 25.920, ossia il tempo in anni di un intero ciclo: 72X30=2160 (un’era) x12=25.920 (un ciclo precessionale).

I gradi che caratterizzano un triangolo che porta alla forma pentagonale sono72 in quanto 72 sono i gradi per i due angoli di base e 36 gradi per l’angolo di vertice.

Il 36 è numero associato allo zodiaco e all’anno civile egizio di 36 settimane di dieci giorni 36×10=360  (ai quali vanno aggiunti più 5 giorni intercalari, detti epagomeni) per portare l’anno a 365.

Il numero 72 associa la forma geometrica del triangolo con la stella Sirio.

Il triangolo con angoli di base di 72 gradi è costitutivo del pentagono e le due figure geometriche sono associate alla stella a cinque punte, simbolo di Sirio (Spd.t,  dove spd.t significa puntuta o penetrante), il cui geroglifico è appunto un triangolo simile a quello con angolazione a 72 gradi.  Sirio è la stella di Iside e, conseguentemente, la stella a cinque punte è Iside.

Questa figura ci riporta al Pentalfa massonico, la stella a cinque punte con al centro la G. La Ghimel abraica starebbe, secondo alcuni autori, per Aldebaran, l’occhio del Toro, associato ad Horus.Un’associazione che ha un senso, essendo Horus il figlio di Iside (Sirio) e di Osiride (Orione). In questa associazione Iside (la stella a cinque punte) è la madre del Sole (Horus).

Nella stella a cinque punte è inoltre inscritto un pentagono regolare. Il rapporto tra la diagonale e un lato del pentagono è esattamente uguale al numero 1,6180339887498……., ossia al numero aureo che ha diretto riferimento alla proporzione aurea, alla costruzione dominante delle forme naturali e all’armonia musicale. 

Il triangolo rettangolo, la rettitudine e la trinità

Un’altra forma geometrica associa Iside, Osiride e Horus: il triangolo rettangolo, detto pitagorico, ma considerato “sacro” dagli Egizi.

Il triangolo rettangolo con la prima terna pitagorica, ossia con i due cateti  di 3 e 4 unità e con l’ipotenusa di valore 5,  era considerato la rappresentazione del rapporto trinitario tra Iside 3, Osiride 4 e Horus 5.

Il triangolo rettangolo simbolicamente richiama il concetto di rettitudine rappresentato dal Neter Maat e la rettitudine del cuore è elemento essenziale della psicostasia osiriaca.

Un altro numero sul quale è necessario soffermarci è il nove.

Il nove, pest in Egizio, è omofono di  illuminare, risplendere.

Tre volte significa elevamento alla massima potenza e il 999 è la Somma Illuminazione.

Il 9 è la somma di quattro e cinque, due numeri assai significativi per le nostre riflessioni. 

Con il numero 4, rappresentabile anche con un rettangolo, si allude ad un equilibrio che certamente si raggiunge con la morte, anche se non si preclude la possibilità che possa essere raggiunto in vita. Il raggiungimento dell’equilibrio in vita è il frutto di un percorso iniziatico e non è un caso che tale percorso, nella ritualità massonica, si svolga su di un quadrilungo, che è un rettangolo somma di due quadrati uguali, la cui diagonale è il lato di un quadrato virtuale.

La chiave per raggiungere in vita quella stessa condizione pare sia indicata dal numero cinque, l’amore, rappresentato con il geroglifico della stella a cinque punte (ritorna Sirio-Iside), la cui dizione è ţu, contenuta nel numero 4 fţu. Il cinque, in effetti, è, geometricamente, il centro di quattro, ossia il “cuore” del quaternio.

Il cinque è il centro del quadrilungo, se consideriamo i vertici ABCD come 1234. Il 5 è al centro della tetraktis pitagorica e, nel quaternio junghiano è l’io cosciente.

I pitagorici chiamavano il cinque assenza di contesa, in quanto concilia il dispari (tre) con il pari (due).[9]

La somma di 5+4 è 9 e il 9 è numero legato all’illuminazione (pest o pestch è illuminare, splendere) e all’avvenuta realizzazione degli equilibri cosmici.

La stella fiammeggiante, ossia Iside Sirio, è l’amore che dà vita al sole.

Il numero 999 è  111 per tre al quadrato e 111 è il simbolo numerico dell’Uno-Trino (Iside, Osiride, Horus), ossia ancora una volta l’insieme degli asterismi Sirio, Orione, Toro. 

L’uno trino e il rapporto tra la Luna e il Sole

Il triangolo equiangolo è la rappresentazione geometrica del concetto di Uno-Trino, ovvero di 111 e costituisce l’unità-trinità forma spaziale elementare della manifestazione.

Il 111 è il numero che per gli Egizi coordina l’anno solare con l’anno lunare in quanto 111×365 giorni (anno solare vago – senza bisestile) = 40.515 giorni e 1372 lunazioni x 29,530589 giorni = 40.515,97 giorni.

Lo stesso concetto espresso in cubiti è: un dito uguale una lunazione, 28 dita uguale 28 lunazioni uguali a un cubito, 28 per 49 lunazioni uguale 1372 lunazioni/cubiti = 111 anni vaghi.

Il rapporto tra il sole e la luna coinvolge anche il numero 19, ossia il ciclo di Metone, in base al quale il ciclo lunare si ripete identico a se steso ogni 19 anni solari. Il 19 è numero associato anche all’Apollo iperboreo.

Riguardo al 19 c’è anche anche un rapporto tra la luna e Sirio. In 19 anni (6939 giorni) c’è una sola coincidenza tra la nuova luna e Sirio.

I numeri del cielo e la quadratura del cerchio

Nella piramide di Cheope 51°51’ è l’angolo esatto (approssimato a volte a 52°) di inclinazione ed è l’angolo del tetraedro che ci dà la quadratura del cerchio.

Un tetraedro a base quadrata di lato b, se ha inclinazione dell’apotema di 51°51’ (piramide di Cheope), avrà un’altezza h tale per cui: hx2x3,14=bx4, ossia, la circonferenza del cerchio con raggio uguale all’altezza è uguale al perimetro. 

Nel caso della piramide di Cheope il rapporto è tra 440 (base) e 280 (altezza) e, dunque, tra 11, (440= 11×40) e 7, (280=7×40).

Il numero 11×4=44 ci dà il perimetro e  7x2x3.14 ….= 43,98 ….. (per approssimazione ovvia, dato che il 3,14 è numero infinito = 44).

Moltiplicando 7 volte l’angolo dell’inclinazione della piramide otteniamo per approssimazione il totale dei gradi della circonferenza del cerchio: 51°,51’x7=361°.

La moltiplicazione 7×4=28 è la lunazione convenzionale, mentre 440:12=37 e il 37, come si è ampiamente visto, è associato a Venere.

La somma di 37+73 dà 110 e il numero 110 è il valore che in Egitto veniva considerato come età massima a cui può aspirare un uomo, in quanto dopo il 110 c’è il 111 numero associato alla trinità, ossia alla manifestazione divina.

Vorrei, per inciso, far notare come l’11 sia elemento essenziale nella costruzione della vesica piscis e nel raccordare le varie dimensioni della piramide.

Se prendiamo il triangolo equiangolo con lato 22 (triangolo di Thoth) abbiamo la seguente situazione:  CD=22; BC=11; BD=11.√3=19. 11+19+22=52

Il numero 52 ci riporta all’inclinazione della piramide ed è numero associato a Thoth. Il numero 52, ossia le settimane in un anno, è anche 13×4, ossia 4 cicli lunari.  Le 13 lunazioni, moltiplicate per 28 ci danno 364 giorni. Le settimane di un anno, ossia 52, per 7 giorni, ci danno 364 giorni. Ancora una volta, vediamo peraltro come i  numeri stellari, solari e lunari, si accordino con la geoemtria.

Il cubito reale, o cubito di Menfi, secondo l’egittologo Franco Cimmino, è rapportabile a 52,35 centimetri o a 52,40 centimetri.

Il 22 e il 7 sono inoltre i due numeri che ci danno il π . Dobbiamo, infatti, considerare che il 3,14 veniva ottenuto dagli Egizi per approssimazione, dividendo 22 per 7.

È risaputo che 3,14, che indichiamo con il Pi greco, non é che l’inizio di un numero che non ha fine.

I matematici definiscono Pi greco come numero trascendente, in quanto non ha fine e non ha periodo.

Trascendente ed infinito sono due degli attributi che si applicano alla divinità ed è per questo che si dice che sia un numero divino.

Il rapporto tra quadrato e cerchio evoca quello tra la terra e il cielo così ben rappresentato dal Pozzo dei Santi Forti di origine druidica presente nella Cattedrale di Chartres accanto alla grotta della Virgo paritura dei Druidi, il cui imbocco è rotondo (rivolto al cielo) e la base è quadrata (a contatto con la terra).

Non a caso il percorso massonico parte ha come simboli la squadra e il compasso, ossia gli strumenti essenziali per tracciare il quadrato ed il cerchio.  

L’11 la luna il sole e Sirio

Il numero 11 è un accordatore di cicli.

L’11, numero di grande interesse per gli Egizi, in quanto legato all’armonizzazione del calendario lunare con quello sotiaco è numero dedicato a Thoth, dio lunare, Neter della conoscenza. 

L’anno sotiaco, ossia l’anno solare calcolato sulla levata eliaca di Sirio, è di 365 giorni (e un quarto). L’anno lunare è di 354 giorni (12 mesi di 29.5 giorni). Sottraendo a 365 il numero 354 otteniamo 11.

A causa della brevità e della fluttuazione del ciclo lunare in rapporto all’anno sotiaco, ogni due o tre anni si aggiungeva un “mese” lunare di 11 giorni che veniva dedicato a Thoth.

Il mese lunare o sinodico (rotazione della luna intorno a se stessa) è di 29,5 giorni. Il mese sidereo (rivoluzione della luna intorno alla terra) è di 27,5 giorni. La differenza è di 2 giorni.

L’11, dunque, è il numero che mette in relazione Sothis (Iside), con la luna (Thoth).  

Il rapporto tra la luna e Sirio è stabilito anche dal numero 17. Se, infatti, nel corso di 17 anni, al primo anno assistiamo alla coincidenza della luna nuova con la levata eliaca di Sirio, al 17° anno abbiamo in coincidenza con la levata eliaca il primo quarto e al 34° (17×2) la luna piena. Al 51° anno la coincidenza è con il quarto di luna calante. Il ciclo si completa con 17×4=68

L’11 è, inoltre, come sé visto, numero fondamentale delle misure della piramide di Cheope ed è, come è stato scoperto recentemente, la periodicità (11 anni) dell’inversione della polarità del sole, nel cui periodo di cambiamento (inversione) si verificano delle tempeste magnetiche e, come conseguenza visibile, l’accentuarsi del fenomeno delle aurore boreali.

L’11, infine, è il numero relativo al ciclo delle macchie solari, un fenomeno che ha importanti influenze sulla vita della Terra, sul suo magnetismo, sullo stato della biosfera e sulla vita stessa delle piante, degli animali e degli esseri umani.

Concludendo

Concludendo questa incompleta panoramica, che vuol essere solo un’introduzione all’argomento, riprendo l’interrogativo di Boris De Racheviltz, il quale ipotizza per queste antiche civiltà un impulso derivante da una civiltà scomparsa, a noi ancora ignota e che, tuttavia, sembra far capolino tra gli enigmi che è sempre più interessante frequentare perché, come sostiene Carlo Rovelli, “i miti si nutrono di scienza e la scienza si nutre di miti”.

©Silvano Danesi


[1] Boris De Racewiltz, Gli antichi Egizi, Mediterranee

[2] Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi

[3] Magda Wimmer, I Maya, Newton Compton

[4] Paolo Tranchina, Maria Pia Teodori, Afrodite, Ed Magi

[5] Paolo Tranchina, Maria Pia Teodori, Afrodite, Ed Magi

[6] Paolo Tranchina, Maria Pia Teodori, Afrodite, Ed Magi

[7] Albert Pike, Morals and Dogma, Bastogi

[8] Vedi il commento di Boris de Rachewiltz al Libro dei Morti, edizioni Mediterranee

[9] Vedi in proposito  Nadim Vlora, L’ultima notte della fenice, Mario Adda Editore

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