L’Altromondo dei morti viventi e l’Aldilà del terrore

Home Filosofia e Religione L’Altromondo dei morti viventi e l’Aldilà del terrore
L’Altromondo dei morti viventi e l’Aldilà del terrore

Il tema relativo alla scienza dell’anima è in stretta relazione con quello della “vita” e della “morte”, dei “vivi” e dei “morti”.  Tema, quest’ultimo, che ha subito un progressivo e radicale mutamento dal XII al XIV secolo e che a seguito della Riforma e della Controriforma ha introdotto l’esasperata e ossessiva presenza della morte nella vita.

Il mondo fatato dei cavalieri del Fedele d’Amore Chrétien de Troyes è un Aldilà che nei romanzi del ciclo arturiano è un Altromondo ancora profondamente legato alla filosofia druidica, il cui modello è orizzontale: il mondo dei vivi e l’Aldilà dei morti viventi sono contigui e comunicanti, non c’è punizione e premio, ma differenza di esistenze.

NelleTriadi bardiche il concetto è ben espresso da Abred (la realtà terrena, il ciclo delle migrazioni) e Gwynfydd (il mondo bianco o mondo delle anime, dei corpi di luce).

Il modello che incontriamo nelle opere dei Fedeli d’Amore del XIII e XIV secolo è verticale e comporta un giudizio, con un premio o una condanna. Nella visione verticale dell’Aldilà c’è l’Ade dei Greci e c’è l’esempio divenuto universalmente conosciuto e paradigmatico dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso di Dante. Siamo in presenza di un cambiamento radicale di prospettiva; un cambiamento di novanta gradi che implica un rapporto angosciante con la morte, anziché sereno con i morti.

Nel corso del Trecento, probabilmente anche in conseguenza delle devastazioni dovute alla peste,  ha luogo una svolta, con il progressivo imporsi di temi apocalittici, come il giudizio universale e con l’ossessiva attenzione al corpo cadaverico e alle ossa; compare la figura del transi, mummia scarnificata.  

Il macabro irrompe sulla scena, assieme all’inferno e ai diavoli. Gli affreschi di Clusone (1470) in provincia di Bergamo (Cappella dei Disciplini) mostrano i vivi accompagnati dal loro doppio scheletrico in una danza macabra (un dipinto del 1859 di Giovanni Darif ne mostra una immagine completa). Altre danze macabre sono visibili a Carisolo e Pinzolo (Val Rendena, Trento).

La Danza macabra, nella sua forma originaria (1450, 1460), come scrive Michel Vovelle,“non ha nulla di cristiano. Essa fa sfilare […] una serie di coppie […]associanti un vivo ad un morto. Danza peraltro singolare, in cui soltanto il morto si agita, mentre il vivo, rigido e imbarazzato, lo segue riluttante. Disposti in ordine gerarchico, questi vivi rappresentano la parata degli onori e delle precedenze della società medievale: l’imperatore, il re, il conte, lo scudiero, il balivo …o il papa, il vescovo, il canonico. […] e in fondo alla scala troviamo, passando per il mercante, l’astrologo, il notaio o il medico, il contadino. A ciascuno la sua morte… o il suo morto. Giacché non è la morte che si impossessa di un vivo, ma un morto, raffigurato da un cadavere ancora rivestito della sua carne, malgrado il ventre aperto in cui brulicano i vermi, e perlomeno di brandelli del suo sudario. […]. Nella Danza, ciascuno dei vivi che si incamminano verso la morte ( o ciascuno degli «appena defunti», se si preferisce) è preso in custodia dal suo doppio”. [1]

I temi apocalittici sono raffigurati nei giudizi universali, come quello di Cristoforo Baschenis dipinto nella chiesa della Santissima Trinità di Casnigo (Valle Seriana – Bergamo), considerata una seconda Cappella Sistina.

Una ulteriore trasformazione farà del transi la raffigurazione del concetto di morte e del suo trionfo: un tema principalmente italiano, che troviamo nelPetrarca (I Trionfi, 1352-1374) e ritroveremo nei Tarocchi.

13. LA MORTE

La Morte, o meglio, il concetto di morte, assume la forma del transi femminile e si evolve verso lo scheletro con la falce, o con l’arco e le frecce, comunque con la spietatezza cieca di chi non fa sconti a nessuno.

La svolta consumatasi nel Trecento e nel Quattrocento si è sbarazzata dei morti e ha posto in campo la Morte.

Il mondo dei morti, nella prospettica orizzontale, non è angosciante ed è prossimo: i morti sono vivi in un Altromondo; il mondo della Morte è angosciante e implica il peccato, il giudizio, le pene dell’inferno, la presenza del diavolo e la mediazione della Chiesa, che si pone come unica ancora di salvezza.

L’Altromondo orizzontale di Chretien de Troyes e dei Celti

Nel primo ramo del Mabinogion, “Pwyll, principe del Dyvet” è richiesto dal re dell’Oltretomba (Annuwn) Arawun di scambiare i ruoli e le sembianze per far si che Pwyll, il cui nome significa prudenza o giudizio, sconfigga un nemico di Arawun.

In “Branwen, figlia di Llyr” (secondo ramo del Mabinogion), i sopravvissuti alla battaglia trascorrono, in compagnia della testa miracolosa di Bran, sette anni ad Harlech, dove aveva avuto inizio il racconto, e ottant’anni a Gwales, luoghi in cui il cibo e le bevande non hanno mai fine ed echeggiano canti di uccelli magici e il dolore non esiste, non si avverte fatica e non si invecchia.

Il gruppo dei sopravvissuti vive ottant’anni nell’Altromondo e quel tempo viene chiamato “Il Convegno dellaTesta Miracolosa”.

Giunti all’ottantesimo anno aprono una porta che dà sulla Cornovaglia e vedono il risultato del trascorrere del tempo:parenti morti, un mondo invecchiato e cambiato.

Erec e Enide, il cui nome deriva dal gallese Enaid,  dal significato di anima e di purezza, inizia con la caccia al cervo bianco nella foresta avventurosa.Il cervo bianco è un abitante dell’Aldilà e indica che il romanzo si svolge in un mondo fatato.

Nel Perceval il Castello del Graal è evidentemente l’Altromondo.

Lancillotto è egli stesso un abitante dell’Altromondo, essendo figlio della Dama del Lago: un’ondina; è un essere fatato e come tutti gli esseri fatati può passare da un mondo all’altro.

Il rapporto di contiguità e di comunicazione tra i mondi nella tradizione leggendaria della cultura celtica ha molti esempi.

Se Lancillotto è figlio di un’ondina, le sirene (maschi e femmine) hanno un posto privilegiato nel rapporto con gli esseri umani, non solo perché ad essi si relazionano, come nel caso di Jack, ma anche perché sono molteplici i casi in cui le sirene femmine sposano degli uomini, dando loro numerosa prole e prosperità.

Jack, il maestro, e le sirene

Jack Dogherty è un pescatore e vive in una baia con la moglie. Vuole conoscere le sirene e incontra Coomara, sirena maschio, che gli fa indossare il cappello magico e lo porta nella sua dimora infondo al mare, dove nella cucina riscaldata i due bevono in allegria. Jack scopre che in alcuni orci sono contenutele anime dei marinai morti, che Coomara ha imprigionato e custodisce. Con uno stratagemma Jack libererà le anime senza perdere l’amicizia del sirenide, il quale dopo molti anni scomparirà. [2]

Di notevole interesse l’analisi dei nomi. Jack è nome che significa maestro (dal basco jakin).

Dogherty, come le sue molteplici varianti, ci riporta al clan irlandese degli O’Donnell, discendente da Niall dai nove ostaggi (re d’Irlanda del V secolo), che discende dagli Heremon, monarchi milesi, ossia celti, di Eriu, subentrati ai Tuatha Dé Danann.

Coomara ha il significato di: «Colui del mare» ed è un appartenente al Piccolo Popolo Fatato (deenee shee o daoineshee), chiamato anche slooa shee (sheagh sidhe), la «schiera fatata», o Marcrashee, la «cavalcata del Popolo Fatato; è l’erede dei Tuatha Dè Danann, il Popolo degli Dei della Dea Dana.

La leggenda di Jack sottende il rapporto tra la cultura basca, quella del nome Jack, la cultura celtica, quella del cognome Dogherty  e quella dei Tuatha Dé Danann, rifugiatisi nell’Altromondo all’arrivo dei Milesi (gli Indoeuropei) e divenuti il Piccolo Popolo Fatato.

La cultura della Dea del Neolitico, divenuta carsica, rivive nelle leggende della “Femme engloutie”. 

Quello della Femme engloutie o della Ville engloutie rappresenta il mito fondamentale dell’origine.

Morgana, nata dal mare (Muir gen), assente dalla tradizione gallese (appare solo nel 1132 nel testo latino Vita Merlini) è una figura mitologica legata all’oceano, come Dahut.

La Femme engloutie è sorvegliata da mostri che impediscono ai curiosi di avvicinarla: «sono sia la materializzazione degli interdetti sociali che di quelli generati dalla psicologia maschile».[3]

La Femme engloutie “rappresenta al contempo la Conoscenza, la Ricchezza e la Potenza, essa non può appartenere a tutto il mondo: è la logica stessa delle società paternaliste che sono essenzialmente aristocratiche. E’ necessario pertanto sviare da lei il desiderio dei comuni mortali, con dei terrori, che sono altre forme di tabù. La trasgressione dei tabù e allora un atto magico compiuto da colui che ama, ossia che è riuscito a vincere la sua ripugnanza e che si rassegna ad annientarsi per guadagnare tutto. Poiché non c’è vita senza la morte, senza la dissoluzione, l’uomo nuovo, colui di cui fantasticano i miti, non può nascere che dopo il suo completo annientamento nel seno della donna”. [4]

La Femme engloutie si presenta, quando essa lo ritiene, ad un uomo.

La fontana come luogo dell’incontro

Le leggende narrano di un cavaliere si reca presso una fontana o un lago, dove incontra una bella fanciulla che gli promette il suo amore e lo sposa a patto che lui non la osservi mai al sabato, quando si ritira nelle sue stanze.  La fanciulla, che è una fata (ondina) dà al cavaliere un anello prodigioso, figli, prosperità e fama. Per lui costruisce castelli e dissoda terreni.  Un giorno, spinto dalla curiosità e dalle maldicenze, il cavaliere spia la sposa il sabato e la vede immersa nell’acqua di una tinozza, mentre si pettina i lunghi capelli e nota che la parte inferiore del corpo è quello di un serpente (drago, pesce). Il patto è infranto e la fata ritorna nel suo mondo lasciando per sempre il cavaliere e i suoi figli.

Elynas, re di Scozia, conosce Pressine presso una fontana. Pressine gli donerà tre figlie, tra le quali Melusina, magli imporrà un interdetto: non dovrà mai vederla partorire. Elyas  non osserva l’interdetto e Pressine scompare.

I luoghi, le modalità degli incontri, gli oggetti, i simboli delle leggende sono gli stessi che troviamo in Chrétien e nel Mabinogion.

Il luogo dell’incontro tra il maschio umano e l’ondina è la Fontana della Sete (ricorda la Fontana del ciclo del Graal, ossia la Fontana della Sapienza) oppure un lago (la battigia è il confine tra i due mondi). 

L’anello è il simbolo di un’alleanza, di un voto, di una comunità di un destino.

L’interdetto è elemento essenziale di tutta la simbologia, in quanto rappresenta un diretto collegamento con la tradizione druidica della geis (pl. geasa) dal triplice significato: negativamente, interdizione religiosa o legale; positivamente, ingiunzione o pretesa; magicamente, incantesimo, magia.

A volte le geasa si intrecciano e si contraddicono creando un nodo irrisolvibile. Tipico l’esempio dei geasa di Chuchulainn, nel cui nome è compreso il termine cane. L’eroe è sottoposto alla geis che gli vieta di mangiare carne di cane, ma anche a quella che gli vieta di visitare un focolare senza consumarne il cibo. Da una vecchia viene indotto ad entrare nella sua casa dove sul focolare c’è arrosto di cane.

Le geasa venivano imposte dai druidi.

La fata è una costruttrice; si pettina i capelli, simbolo di energia che mette in ordine; è metà donna è metà pesce(serpente, drago), ossia è parte di questo e dell’Altromondo: è una banshee.

Il serpente, il draco è un simbolo sacro.

Il serpente era sacro anche alla dèa celtica Brighit, della quale era un emblema, ed era il paredro della dèa bascaMari: Sugaar.

I druidi in Galles chiamavano se stessi Nadredd, “serpenti” e sembra che al momento dell’iniziazione i druidi gridassero: “Io sono un druido. Io sono un serpente”.  Formula che si ritrova anche esclamata da Taliesinin “L’antro dei Bardi”.

Tra le leggende relative al rapporto tra gli esseri umani e le ondine, quella di Melusina ha un’importanza cruciale per quanto riguarda i temi che ritroviamo in Chrétien e nel Mabinogion, in quanto le leggende di Melusina appartengono quasi tutte ad un medesimo ambiente:quello della corte di Enrico II Plantageneto (1133 1189), il quale fu duca diNormandia, conte d’Angiò e del Maine, duca di Guascogna e re d’Inghilterra. Ebbeanche autorità alcune regioni in Galles, Scozia e Irlanda orientale.

Avendo sposato Eleonora d’Aquitania fu anche duca consorte di quella regione.

E’ in questo periodo che viene introdotta in Francia la «Materia di Bretagna», letteratura che si sviluppa nel XII secolo nella Francia settentrionale contemporaneamente all’epopea delle chanson de geste. E’ in questo periodo che scrive, alla corte di Maria, figlia diEleonora, Chrétien.

Eleusina è Lugine (oca bianca), la paredra di Lug (corvo nero), diventata Lusine, la vecchia Madre Lusine passata nei racconti popolari come Mé-Lusine. Lusine è per Lug l’equivalente di Belisama per Belenus: Lug è aria e fuoco e Lusine è terra e acqua, i quattro elementi della manifestazione.

Melusina è serpens e draco (due termini che appartengono alla stessa area semantica) ed è una banshe, una dama bianca. In quanto serpens e draco è wouivre (calore, ardore, dalla radice *gwer).

Mondi che comunicano

Gli esempi potrebbero essere ancora molti, ma quanto sin qui ricordato è più che sufficiente a mettere in evidenza come l’idea della contiguità tra i due mondi fosse diffusa e come il mondo dei vivi e quello dei morti comunicassero.

L’idea che il mondo dei morti sia assai vicino a quello dei vivi e che sia possibile un passaggio dall’uno all’altro, ossia che il popolo dell’Ananon (il mondo dei morti) possa compiere viaggi nella società dei vivi, è attestata dai riti di passaggio, tesi a garantire ai vivi che i morti stiano con i morti.

“Per facilitare la separazione dell’anima e del corpo , paesi germanici e celtici rimettono in contatto l’agonizzante –negli ultimi istanti – con la madre terra. Il morente viene sollevato facendogli posare i piedi sul suolo (Bretagna), oppure lo si depone su un pagliericcio direttamente sul pavimento di terra battuta della casa (contea di Leitrin in Gran Bretagna). Altri, si dice, lo scuotono con violenza (FrancaContea) o si accontentano di chiamarlo con il suo nome di battesimo prima di chiudergli la bocca (Francia centrale, Chateau-Chinon)”.[5] L’anima esce in forma di mosca o di farfalla e in Bretagna durante l’agonia si toglie una tegola dal tetto per facilitare la partenza. Per sbarazzarsi del morto si fa seguire al funerale un cammino tortuoso (Bretagna) chiamato il Cammino dei morti:all’andata e al ritorno si attraversa dell’acqua  (confine tra i mondi) e si mette acqua tra vivi e morti (Bretagna – Irlanda).

La tradizione ha elaborato anche un percorso attraverso il quale le anime dei defunti si recano nell’Aldilà.

Tra Imbolc e Pasqua, infatti, corre un periodo in cui le strade del cielo si aprono per le anime in cerca della loro via verso l’aldilà: un itinerario che passa per la via Lattea e soprattutto perla luna. Al ritmo delle fasi della pompa lunare (onde) l’ascensione delle anime si realizza sulla via Lattea. Ma questa ascensione può farsi soltanto a date fisse: alla Candelora, quando i morti dell’anno trascorso trovano le proprie vie. E poi chi ha mancato l’appuntamento della Candelora (Imbolc) ha un’altra occasione a Pasqua (Ostara).

Gli antichi Baschi veneravano la memoria dei defunti il primo di novembre, giorno d’inizio della festa d’inverno, con l’accensione di sottili candele (argizaiolak). Le assonanze con la festività celtica di Samain sono evidenti. Nella notte di Samain i due mondi si toccano e i morti tornano a casa. La tradizione vuole che si apparecchi il tavolo con cibi e bevande per i morti che nella notte tornano a frequentare il mondo nel quale sono stati.

Tutto ciò che ha un nome è reale

Il rapporto dei Celti e dei Baschi con i morti è complesso, ma risponde ad un criterio di orizzontalità, di contiguità dei mondi (Aldiqua e Aldilà) e di comunicazione.

Dietro a questa idea del rapporto tra i due mondi c’è quella druidica, che conferisce lo status di realtà anche a quanto non è percettibile dai sensi, ma è pensato dalla mente. Questa idea è un lascito della cultura dei Baschi, appartenente a donne e uomini che hanno ripopolato l’Europa dopo l’ultima glaciazione e che hanno costituito il popolo prevalente sino all’arrivo degli Indoeuropei (il popolo Kurgan).

L’Aquitania di Eleonora è territorio basco e il sostrato tradizionale basco, una delle basi essenziali della cultura druidica, può ragionevolmente aver influenzato l’opera di Chrétien.

I Baschi distinguevano tra il mondo naturale (berezko), conoscibile e affrontabile con gli strumenti naturali e il mondo soprannaturale (aideko) affrontabile con la magia, dove la magia è la capacità di rapportarsi a forze e dimensioni non categorizzabili nel misurabile, secondo i parametri dei cinque sensi e delle loro estensioni strumentali.

Il legame tra lecose e le loro rappresentazioni era chiamato Adur. “La forza magica Adur –scrive in proposito Carlo Barbera – è la consapevolezza che ogni cosa esistente in questa dimensione possiede un corrispondente vibratorio che appartiene ad un’altra dimensione, connessa alla prima da precisi vincoli causali che le rendono fra loro come il soggetto e l’immagine di esso riflessa nello specchio.…. Addentrarsi nella mitologia basca – aggiunge Barbera – significa essere consapevoli che il mondo non termina dove noi crediamo e che ciò che noi definiamo realtà potrebbe essere solo una parziale immagine riflessa di una realtà multidimensionale, inimmaginabile e fantastica che sembra essere, appunto, quella dell’antico mondo dei Baschi”. [6]  

José Miguel de Barandarian, uno dei maggiori studiosi della mitologia basca, riporta che,“secondo una frase popolare, il reale comprende non solo quanto percepiscono i sensi e congettura e assicura la ragione, ma anche tutto ciò che ha un nome. Izena duen gutzia omen da si dice correntemente, il ché significa che ad ogni nome corrisponde un essere”. [7] I nomi sono rappresentazioni sonore delle cose.

Questa idea implica che i Baschi diano lo stesso status di realtà a tutto ciò che noi oggi consideriamo come scientificamente osservabile e determinabile e anche a tutto ciò che determinabile non è secondo il moderno criterio scientifico. Un genio come Mari, per il fatto stesso di avere un nome, esiste ed è reale, così come lo è il mondo dei trapassati. Un’idea, quella dei Baschi, condivisa dalla cultura celtica e da quella druidica per le quali l’Aldilà e l’Aldiquà avevano lo stesso status di realtà, al punto tale che i Celti si facevano prestiti esigibili nell’Altromondo.

Tutto cambia tra il dodicesimo e il quattordicesimo secolo.

Cos’è accaduto tra il dodicesimo e il  quattordicesimo secolo? E’ accaduto, come già scritto supra, che si è passati dai morti alla morte.

“Si esagera – scrive Michel Vovelle -appena asserendo che fino al 1350 non si è saputo come rappresentare la Morte, perché la Morte non esisteva”, [8]ma il passaggio dal mondo orizzontale dei morti a quello verticale della Morte è evidente.

La morte è divenuta un personaggio simbolico e nei Tarocchi Visconti è un transi con un arco in mano.

In ambito celtico tardo, l’Ankou,  figura della morte che percorre le strade della Bretagna  o della Cornovaglia accompagnata dallo stridore della sua carretta, è già una rappresentazione della morte creata nel  ‘400-‘500.

La morte non è più un passaggio, accompagnato da riti, come avveniva nel paganesimo, con canti e danze attorno al cadavere, con incontri comunitari attorno al morto, con banchetti funebri, ma anche con accorgimenti volti a far si che i morti non possano tornare nel mondo dei vivi, con funerali che percorrono vie tortuose (il “cammino dei morti”) o che attraversano corsi d’acqua. L’anima non viene più accompagnata e facilitata a lasciare il corpo, aprendo parte dei tetti. Ai morti non si porgono più offerte di cibo. Le antiche ritualità diventano superstizioni, relegate nelle campagne, dove la presenza della Chiesa è meno rigorosa e dove sopravvivono antiche tradizioni.

I morti sono consegnati al giudizio, alle pene e la morte entra nella vita accompagnata da inferno e diavoli.

Dopo l’XI secolo, con l’absoute, ossia l’assoluzione al tumulo o alla salma impartita alla fine della messa, la Chiesa si impossessa dell’anima e del suo destino.

“L’absoute – scrive Michel Vovelle – completa e perfeziona l’assoluzione impartita al letto di morte di cui è tutto sommatola ripetizione. Assolvendo il cadavere, essa afferma il credito dellaChiesa-istituzione sull’Aldilà, il suo diritto al «potere delle chiavi» che apre e chiude l’accesso al paradiso”. [9]

I morti sono relegati in un’ibernazione dalle chiese riformate e nel purgatorio dalla Chiesa cattolica, che del transito penitenziale in questo mondo di mezzo fa un commercio, con tanto di contabilità in anni delle indulgenze e dei suffragi, basate, ovviamente su elargizioni dei vivi.

L’Altromondo orizzontale, che era popolato di fate, sirene, ondine, elfi e gnomi, di morti viventi e di dèi, si popola di diavoli dediti a tormentare le anime dannate. Satana è onnipresente con le sue schiere di diavoli e si associa alla paura della morte. L’Altromondo è trasformato in un mondo di ansia, di angoscia, di paura, di terrore. La Morte e il diabolico entrano nella vita e il pensiero della morte diventa dominante, facendo fiorire le artes moriendi, che fanno della vita una continua preparazione alla morte.

15. IL DIAVOLO

La sofferenza è indice di espiazione dei peccati e di salvezza. Tutti devono portare la croce e il dolore è invocato come strumento di santità.

Non v’è chi non vede che una vita vissuta come anticamera della morte, nel terrore continuo della possibile dannazione eterna, presentata come pena corporale terrificante e insopportabile, è funzionale ad un potere dove il mondo si divide tra il gregge e i pastori e dove l’essere umano non solo non è padrone del suo corpo, ma nemmeno della sua anima.

L’inferno terrorizza per la sia definizione di eterna pena, ma non meno terrorizzante è il purgatorio.

L’Altromondo verticale è un Aldilà funzionale ai potere dell’Aldiquà; è un Aldilà che poco ha a che fare con il destino delle anime, con il transito dei morti da una vita ad un’altra vita; non è il mondo dei morti, ma l’immagine terrificante proposta ai vivi per sottometterli alla tracotanza dei potenti, che sono, in effetti i migliori alleati del diavolo, il quale è il capo delle schiere di terroristi dell’Aldiquà.

La scienza dell’anima e l’Ultramondo

La scienza dell’anima si pone come restauro tradizionale dell’Altromondo orizzontale: un mondo senza angoscia e senza pene eterne, senza diavoli e senza terrore; un mondo altro, parallelo, al quale si accede superando un sottile confine, lasciando nell’Aldiquà il corpo materiale per indossare un energetico “corpo di luce”.

I morti non sono transi che ballano danze macabre, ma esseri viventi in altra forma; esseri metamorfosati, abitanti di una dimensione parallela, che oggi la scienza ci indica come girata di novanta gradi nei confronti della nostra dello spazio-tempo (tre dimensioni spaziali più il tempo).

L’Altromondo tradizionale oggi, alla luce delle moderne conoscenze scientifiche, potrebbe essere definito un Ultramondo. La multidimensionalità, infatti, ci dà alcune indicazioni al riguardo di una possibile sopravvivenza dell’anima, come corpo di luce, in una dimensione superiore.

L’esistenza di dimensioni altre è oggi questione all’esame della fisica e della matematica e il restauro tradizionale, come appare sempre più evidente, proietta il passato direttamente nel futuro.

 “Basandosi sul lavoro di Riemann – scrive Michio Kaku – Hinton [Charles Howard Hinton, matematico inglese, ndr] si era infine convinto che la luce fosse la vibrazione della quarta dimensione, una dimensione invisibile. Fondamentalmente si tratta dello stesso punto di vista di molti fisici teorici della nostra epoca”. [10]

Teodor Kaluza Klein, fisico e matematico tedesco, noto soprattutto per la teoria diKaluza-Klein riguardante le equazioni di campo in uno spazio pentadimensionale, ipotizzava che la luce fosse uno stato di interferenza causata da una spiegazzatura di una dimensione superiore. La luce si presenterebbe, pertanto, come la curvatura (nella geometria dello spazio) delle dimensioni superiori.

Uncorpo di luce, pertanto, potrebbe essere ragionevolmente quella parte di noi che P.D. Ouspensky collocava nella quarta dimensione.

La ricerca è aperta, lasciando finalmente da parte angoscia e terrore, per seguire la via della pace e della serenità.

© Silvano Danesi


[1] Michel Vovelle, La morte e l’Occidente dal 1300 ai giorni nostri, Laterza.

[2] La favola è tratta da William  Buttler Yeats, Fiabe irlandesi, Newton.

[3] Vedi Jean Markale La femme celte, Payot

[4] Vedi Jean Markale La femme celte, Payot

[5] Michel Vovelle, La morte e l’Occidente dal 1300 ai giorni nostri, Laterza.

[6] Carlo Barbera, Gli indios dei Pirenei, www.arcadia93.org

[7] José Miguel de Barandarian, Mitología vasca, Txertoa

[8] Michel Vovelle, La morte e l’Occidente dal 1300 ai giorni nostri, Laterza.

[9] Michel Vovelle, La morte e l’Occidente dal 1300 ai giorni nostri, Laterza.

[10] Michio Kaku, Iperspazio, Macro Edizioni

Leave a Reply

Your email address will not be published.

error: Content is protected !!