La degenerazione di un ordine iniziatico e la società aperta

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La degenerazione di un ordine iniziatico e la società aperta

Il segreto attiene al potere e alla cooptazione, il mistero alla ricerca e all’iniziazione.

Un ordine iniziatico, che sia tale, non ha segreti, ma educa i propri affiliati a seguire l’ardua via della conoscenza, avendo come orizzonte il mistero, l’ignoto, ossia ciò che sta racchiuso, che non si mostra ma che, grazie alla costante ricerca, progressivamente si svela e si mostra.

L’etimologia di mistero si riallaccia al latino mysterium, dal greco μυστήριον (mystérion) = arcano, a sua volta  da μύστης (mýstēs)=iniziato, termine che trae origine da μύω (myō) o μυεω (myeō) = sto chiuso o mi chiudo.

Pertanto, l’accezione più diffusa della parola mistero è ciò che è inspiegabile o inaccessibile  alla comprensione, alla conoscenza, alla ragione umana, in quanto ne va oltre.

Ecco il motivo per il quale il vocabolo greco mýstēs equivale ad iniziato, ossia colui il quale si occupa di mistero. L’iniziato ha lo sguardo rivolto all’oltre, avendo acquisito la consapevolezza che per quanto egli sappia, c’è sempre un oltre e che la via della conoscenza è infinita, essendo infinito l’ignoto, il quale, per quanto si mostri, nasconde sempre gran parte di sé.

Il mistero è una realtà che prescinde dalla umana volontà, la quale, con la conoscenza, tenta in continuazione di violarne la chiusura, di togliere i veli e di spingersi oltre i confini dell’ignoto.

Tuttavia, l’iniziato si trova sempre di fronte all’avvertimento di Iside: “Io sono tutto ciò che fu (QUID FUIT), ciò che è (QUID EST), ciò che sarà (QUID ERIT) e nessun mortale ha ancora osato sollevare il mio velo.” Quell’ancora è al contempo un ammonimento e un invito.

Scrive Giorgio Colli: “Che l’evento misterico di Eleusi, uno dei vertici della vita greca, celebrato annualmente alla fine dell’estate, fosse una festa della conoscenza risulta chiaro dalle testimonianze antiche”. [1]

Conoscenza e mistero sono gli alimenti dell’iniziato.

Il vacabolo segreto ha il significato di nascosto, di ciò che viene custodito senza essere rivelato
dal latino: secretum da secernere mettere da parte, composto da se- e cernere separare.
Il segreto è ciò che viene tenuto da parte rispetto al pubblico, separato e nascosto agli occhi altrui, senza essere rivelato, senza essere condiviso.Il segreto, nella sua accezione corrente, con evidenti risvolti giuridici, è condizione vincolante che obbliga a non rivelare notizie riservate. Abbiamo, pertanto, il segreto professionale, il segreto bancario (obbligo, da parte delle banche, di garantire la riservatezza sui rapporti intrattenuti con la propria clientela), il segreto istruttorio (obbligo di non divulgare gli atti di un processo penale), il segreto di stato (quello concernente notizie la cui divulgazione nuocerebbe alla sicurezza interna o internazionale dello stato), il segreto d’ufficio (dovere di non diffondere informazioni sull’attività amministrativa da parte di pubblici impiegati).

Il segreto è contro la legge? No, anzi, è previsto e addirittura imposto dalla legge. Può un ordine iniziatico decidere di tenere riservato, quindi segreto, il frutto delle sue ricerche e delle sue conoscenze, così come fa una società qualsiasi con i risultati del suo ufficio Ricerche e Sviluppo? Può un ordine iniziatico fare quello che è normale per tutelare un marchio o un brevetto, per una bevanda o per un procedimento industriale, tanto per fare qualche esempio? La risposta, a termini di legge e secondo la Costituzione della Repubblica Italiana è: si.

Il segreto non è un crimine, ma si propone come il risultato di una volontà umana: la volontà di non condividere.

Va considerato inoltre il fatto che nel tempo l’area semantica del vocabolo segreto si è ristretta sempre di più, nella coscienza comune, al significato negativo di occultamento di pratiche e di relazioni indicibili, perdendo il suo significato originario di qualcosa di intimo, di non comunicabile.

Quando una parola si consuma, perde il complesso dei suoi significati originari, si immiserisce e si trasforma in un’accezione che ne tradisce, nell’uso comune, la complessità valoriale, è meglio abbandonarla al suo destino.

La parola segreto si è, nel tempo, legata anche ai concetti di potere e di cooptazione.
Chi detiene, o finge di detenere, un segreto ha potere su chi quel segreto ambisce a conoscere, cosicché si rende disponibile alla cooptazione, cedendo parte della sua libertà al cooptante. La logica è feudale e nulla ha a che fare con un percorso iniziatico.

Nasce dalle considerazioni sin qui svolte una riflessione su un aspetto negativo relativo ad un ordine iniziatico, che induce nella coscienza comune a considerarlo pericoloso: la presunzione di applicare direttamente nell’agone politico il frutto delle elaborazioni maturate al proprio interno, le quali, sia pure legittimamente non condivise, proprio in quanto tali non possono essere tout court applicate alla politica se la politica è intesa come azione di governo che poggia le sue basi democratiche sulla volontà del popolo sovrano.

Un esempio disastroso: l’esperienza tragica dei pitagorici.

Un esempio eclatante ci viene da Pitagora. Dobbiamo infatti a Pitagora e ai pitagorici, tra le molte idee di importanza fondamentale per lo sviluppo della cultura, anche il seme di un fallimento storico, premessa di altri fallimenti: quello della città governata dai saggi illuminati. Un fallimento iniziato con la cacciata a furore di popolo dei pitagorici da Crotone e con analoghe cacciate da Locri, da Taranto, da Metaponto, proseguita con gli esperimenti gesuitici in Paraguay e approdata al comunismo utopistico.

Un fallimento che ci è di avvertimento riguardo alla via iniziatica, la quale, quando pretende di costruire modelli sociali o, addirittura, di realizzarli, produce mostri.

Scrive Giamblico (La vita pitagorica) che Pitagora asseriva che “l’educazione dello spirito era un’intima qualità comune ai migliori di ogni generazione: infatti quanto viene scoperto da costoro diventa materia di educazione per gli altri” e che “educarsi è possibile ad ognuno secondo la sua consapevole determinazione. E chi poi entra nella vita pubblica della propria città lo fa evidentemente non certo per improntitudine, bensì sulla scorta della sua educazione”. [2]

Sempre secondo Giamblico, “in generale, Pitagora sarebbe stato, secondo la tradizione, lo scopritore dell’educazione politica nel suo insieme”, ma aggiunge che l’educazione e la grandezza morale dei suoi seguaci fu tale che “si volle che gli affari politici fossero gestiti dai pitagorici”. [3]

Tale gestione suscitò le ire dei Crotoniati, che diedero fuoco alla casa di Milone, dove i pitagorici erano riuniti “per deliberare circa i pubblici affari”.

“C’era poi il fatto – continua Giamblico – che, essendo i giovani membri della comunità [dei pitagorici] rampolli delle famiglie titolari del potere politico ed economico, col crescere dell’età non soltanto conseguivano il primato della vita privata, ma finivano per amministrare gli affari pubblici in comune tra loro. Essi avevano formato una grande eteria, erano più di trecento, ma rappresentavano pur sempre una piccola parte della cittadinanza, la quale non si lasciava governare secondo i loro costumi e le loro abitudini”. [4]

Eteria, dal greco hetaîros: compagno, è una compagnia, un’associazione che nella Grecia antica era formata da membri i quali si legavano tra di loro da un giuramento.

L’eteria pitagorica, della quale ci occupiamo, aveva carattere misterico ed era una scuola iniziatica e la sua esperienza crotonese ha rappresentato un caso tipico di tragica degenerazione, assurta a prototipo della Repubblica di Platone e di tutte le costruzioni utopistiche dei cosiddetti “governi dei saggi”, ossia di élite autoreferenziali.

La Repubblica di Platone, paradigma delle élite autoreferenziali.

La Repubblica di Platone non è solo un’asettica elaborazione filosofica, ma si pone come un manifesto politico, conseguente ad esperimenti reali e propedeutico alla loro continuazione.

In particolare, il riferimento è, come ben spiega Luciano Canfora, professore emerito all’Università di Bari, al governo utopico-sanguinario dei Trenta (404-403 a.C.), i cosiddetti «trenta tiranni», i quali, “pur dopo la sconfitta e il naufragio tragico del loro tentativo «palingenetico» hanno continuato a ritenere che si fosse trattato unicamente di un incidente di percorso, cioè di un esperimento da migliorare e riproporre”. [5]

Luciano Canfora ricorda come ci fossero esperimenti di governo pitagorico in corso in vari luoghi. “In Magna Grecia era in atto da tempo, con Archita, l’esperimento di governo pitagorico che, a sua volta, non era stato senza effetti come elemento ispiratore della costruzione platonica. Platone va in Sicilia a tentare la Kallipolis perché a Taranto c’è Archita che governa”. [6]

Canfora propone le critiche del tempo all’opera di Platone, prima fra tutte quella di Aristofane.

Sotto tiro è il ruolo dei «guardiani», pronti a combattere non solo il nemico esterno, ma chi all’interno agisce male. Un ruolo ben interpretato da tutti i totalitarismi e da tutti i dittatori succedutisi nei secoli.

Canfora ricorda la “polarizzazione negativa che Platone ha suscitato contro di sé e contro il suo spregiudicato interventismo politico” e come un “poco letto Aristofonte compose un Platone nel cui unico frammento superstite dovuto, al solito, ad Ateneo (XII,552 E = fr.8K-A) qualcuno dice, forse rivolto a Platone medesimo: «così in pochi giorni ci farai tutti morti»!”. [7]

L’uomo nuovo e la deriva totalitaria.

Significativo l’attacco sferrato alla Kallipolis di Platone da Erodico di Seleucia, grammatico del II sec. a.C. (Contro il filosocrate). “I due punti più rilevanti su cui si concentra l’attacco – scrive Luciano Canfora – sono: la pretesa platonica di formare «l’uomo nuovo» come premessa fondante della Kallipolis e la deriva «tirannica» che immediatamente hanno preso coloro che, in varie città greche, dopo aver frequentato lui si sono impegnati in politica”. [8] “In altri termini – sostiene ancora Canfora – l’Accademia non fu semplicemente un «pensatoio» (come non lo fu del resto la meno strutturata ma non meno efficace cerchia socratica). E’ evidente che volle essere anche una fucina di potenziali «governanti» (…). Perciò, soprattutto perciò, dall’esterno è stata vista con sospetto: anche come un pericoloso luogo di formazione di aspiranti a governare in nome di allarmanti progetti”. [9]

L’uomo nuovo è diventato, di volta in volta, l’ariano figlio delle SS, il comunista alla Pol Pot e, oggi, nelle intenzioni di qualcuno, il perfetto consumatore internazionale senza identità e senza radici, avente come padre il mercato e come madre la finanza.

La teorizzazione iniziata dai pitagorici è proseguita nei secoli nella Repubblica di Platone, nella Città del Sole di Tommaso Campanella, nell’Utopia di Tommaso Moro, nella Nuova Atlantide di Francesco Bacone.

L’utopia pitagorica del governo dei saggi ha influenzato il pensiero occidentale per molti secoli ed è ancora viva.

I tentativi delle élite burocratiche e finanziarie di governare il mondo, superando le regole democratiche che hanno il loro fondamento giuridico nella volontà popolare, sono l’ultim versione, in ordine di tempo, di attuare l’utopia platonica. Un tentativo che va combattuto con la forza di chi ama la libertà dei singoli e dei popoli e il loro diritto all’autodeterminazione.

L’utopismo, secondo Popper, conduce alla tirannia e al totalitarismo in quanto il piano di governo della società (educazione del cittadino, ecc.) conduce ad un’identificazione della società con lo Stato e l’esigenza di condurre a “buon fine” l’esperimento induce a tacitare dissensi e critiche, comprese le critiche ragionevoli e quindi al controllo delle menti. “Ma questo tentativo di esercitare il potere sulle menti – scrive Popper – inevitabilmente distrugge l’ultima possibilità di scoprire che cosa pensi veramente la gente, ed è evidentemente incompatibile con il pensiero critico. In ultima analisi tale tentativo deve per forza distruggere la conoscenza; e quanto più aumenterà il potere, tanto maggiore sarà pure la perdita di conoscenza”. [10]

L’utopismo distrugge la conoscenza.

Distruggere la conoscenza. E’ qui il punto chiave che distanzia in modo drastico, totale e non rimediabile, un’eteria iniziatica che voglia essere tale, da un’eteria iniziatica degenerata.

La costituzione di un’eteria di governo ripropone il concetto di società chiusa, ossia tribale, così come acutamente asserisce lo studio di Karl R. Popper, “La società aperta e i suoi nemici”, laddove egli sostiene il concetto, del tutto condivisibile che “la democrazia fornisce una struttura istituzionale che permette non solo l’attuazione di riforme senza violenza, ma anche l’uso della ragione in campo politico”.[11]

L’eteria pitagorica ha fatto da paradigma alle teorie platoniche e a quelle successive da queste derivanti, le quali si appoggiano sul concetto di “popolo eletto”, che emerge dalla forma tribale della vita sociale e dall’esempio di società antica, dalla quale Platone trasse il suo modello che Popper chiama “il Gran Mito di Sparta”.

“Per quanto riguarda l’origine della classe dirigente – scrive Popper -, si può ricordare che Platone parla nel Politico di un’epoca anteriore anche a quella del suo stato ottimo, quando « la divinità stessa guidava [gli uomini] al pascolo e presiedeva loro, come fanno ora gli uomini, i quali ….guidano al pascolo altri generi di viventi di loro meno nobili…»”. E aggiunge: “Non si tratta affatto di una similitudine del buon pastore; alla luce di ciò che Platone dice nelle Leggi, questo passo deve essere interpretato assolutamente alla lettera. Infatti si afferma che questa società primitiva, che è anteriore anche alla prima e ottima città, è quella dei pastori nomadi sotto un patriarca”. [12]

“Queste tribù nomadi, egli dice – continua Popper a proposito di Platone – si insediarono nelle città del Peloponneso, specialmente a Sparta, sotto il nome di «Dori»”, artefici, come ben fa notare sempre Popper, “del soggiogamento di una popolazione sedentaria ad opera di un’orda guerriera conquistatrice”, che ha come paradigma del governante il pastore patriarcale e la cui “arte di governare è una specie di arte del mandriano”.[13]

Gli ordini iniziatici, pertanto, se vogliono togliersi di dosso la ricorrente accusa di essere consessi di persone che tramano contro la società, devono, a mio parere, abbandonare alla deriva dei suoi degeneri significati il vocabolo segreto e devono, soprattutto, tornare coerentemente alle origini della loro missione nel mondo.

Rispondere con fermezza alla protervia dell’ignoranza inquisitrice.

Fatte queste considerazioni, è opportuno che gli ordini iniziatici rispondano con decisione e chiarezza, dati alla mano e senza remore, alle accuse loro rivolte.

Un esempio per tutti: la famosa Loggia P2, che di iniziatico non aveva nulla.

I documenti non mancano per indirizzare chi solleva polveroni verso le fonti del fenomeno, ossia in primis la Cia di Frank Gigliotti e, a seguire, il Vaticano, essendo regnante il beato Paolo VI.

E’ poi opportuno chiarire agli insopportabili ignoranti e alla loro malafede, che la Trilateral, così come Bildeberg non sono ordini iniziatici, ma circoli di potere assolutamente profani.

Infine, va detto a chiare lettere, che le fondazioni mondialiste, i summit di Davos, e via discorrendo ed elencando, non hanno nulla a che fare con gli ordini iniziatici, ma va anche chiarito che ci sono pseudo ordini iniziatici che utilizzano il cosiddetto segreto non per tramare contro il popolo o le istituzioni, ma per gabbare i gonzi che sperano di entrare in possesso di segreti che non ci sono, perché, come è ben chiaro, il mistero non riguarda la volontà umana e la via iniziatica è conoscenza senza limiti nella tensione a conoscere e con l’unico immenso limite dell’ignoto che ci appare infinito.

E chi racconta che un rituale di un ordine iniziatico va tenuto segreto inganna, perché i rituali sono pubblicati e, pertanto, già pubblici. Il problema, per chi li legge, è che sono scritti in un linguaggio simbolico ed archetipico, con allegorie e con parabole e, pertanto, sono da capire nel profondo dei loro significati. Ancora una volta nessun segreto, ma necessario impegno costante e severo a conoscere.

 Silvano Danesi

[1] Giorgio Colli, La sapienza greca, Adelphi

[2] Giamblico, La vita pitagorica, Bur

[3] Giamblico, La vita pitagorica, Bur

[4] Giamblico, La vita pitagorica, Bur

[5] Luciano Canfora, La crisi dell’utopia – Aristofane contro Platone, Laterza

[6] Luciano Canfora, La crisi dell’utopia – Aristofane contro Platone, Laterza

[7] Luciano Canfora, La crisi dell’utopia – Aristofane contro Platone, Laterza

[8] Luciano Canfora, La crisi dell’utopia – Aristofane contro Platone, Laterza

[9] Luciano Canfora, La crisi dell’utopia – Aristofane contro Platone, Laterza

[10] Karl Popper, Miseria dello storicismo, Feltrinelli

[11] Karl R. Popper, “La società aperta e i suoi nemici”, Armando

[12] Karl R. Popper, “La società aperta e i suoi nemici”, Armando

[13] Karl R. Popper, “La società aperta e i suoi nemici”, Armando

 

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