Nell’articolo: “Il mito di Horus e di Seth e il rapporto luce materia” ho accennato al fatto che nella tradizione egizia antica l’essere umano è composto di nove parti, sei delle quali possiamo considerare come componenti del corpo materiale e tre come componenti che comprendono i concetti di anima Ba o essenza presente, di Akh, anima spirituale o forma esistente trascendente e di Sakhu o Sa-Hu, intelligenza suprema Sa, che crea attraverso il verbo Hu, ossia, in altri termini, energia intelligente.
Il Ba, pertanto, si propone come essenza presente di un’energia intelligente, Sa-Hu, dotata di un corpo di luce, Akh o Akhu (energia creatrice luminosa ed elemento della vita perenne).
Nell’articolo “Riflessioni per una scienza dell’anima”, ho accennato a quanto è affermato nel Corpus Hermeticum, ove la rinascita o palingenesi dell’anima, rivelata al figlio di Ermete, consiste nel “non mostrarsi più nella forma del corpo a tre dimensioni”, nel superare cioè il corpo fisico che “è lontano dalla generazione sostanziale” dissolubile e mortale, per entrare in un corpo “composto di potenze” che è indissolubile e immortale, divenendo nello stesso tempo consapevole di “essere dio e figlio dell’Uno”. L’anima, dunque, abbandonando il corpo mortale, entra in un corpo “composto di potenze”.
Sempre in “Riflessioni per una scienza dell’anima” ho ricordato come il tema sia riproposto nella cultura cristiana da San Paolo, nella lettera ai Corinzi.
“Ma qualcuno dirà: «Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno?». Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore. Quanto a ciò che semini, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco di grano o di altro genere. E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo. Non tutti i corpi sono uguali: altro è quello degli uomini e altro quello degli animali; altro quello degli uccelli e altro quello dei pesci. Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, altro quello dei corpi terrestri. Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle. Ogni stella infatti differisce da un’altra nello splendore. Così anche la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale. Se c’è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale. Sta scritto infatti che il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. Come è l’uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l’uomo celeste, così anche i celesti. E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste. Vi dico questo, o fratelli: carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che si corrompe può ereditare l’incorruttibilità. Ecco, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba”.
Carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio, ma gli esseri umani saranno trasformati in esseri celesti, ossia in corpi incorruttibili, spirituali e risorgeranno nella potenza e nella gloria.
Potenza è la capacità di fare qualcosa. Gloria ha il significato originario di udire, farsi udire, risuonare (radice indoeuropea *klu). Nel tempo, a parte il profanissimo essere famosi, gloria ha acquisito anche il significato di letizia, allegrezza, beatitudine.
Se questo è il significato originario di gloria, gli esseri umani, trasformati (ossia portati ad essere forme al di là delle forme corporee), sono corpi incorruttibili, spirituali e risorti nella risonanza, ossia nell’udire, farsi udire, suonare insieme: individui risonanti. Il concetto di risonanza apre interessanti orizzonti di riflessione.
Negli Atti di Filippo ( apocrifo del IV secolo) Gesù insegna: “Se non farete che il sotto divenga il sopra, che la destra divenga la sinistra, non entrerete nel regno, perché tutto l’universo è volto nel senso contrario e così ogni anima che è in esso”. L’inversione è l’atto del volgersi dell’anima dal mondo sensibile a quello intellegibile, ma suscita anche l’idea della multidimensionalità.
La tradizione egizia sembra condurci per mano verso la conferma di quanto sin qui ricordato con il rituale del “passaggio nella pelle”, che prende il nome da Meska, pelle di leopardo, vocabolo composto da Mes, pelle a da Ka, insieme dei campi energetici del vivente. Il “passaggio nella pelle” ha il significato di un’incarnazione, meglio, come suggerisce Daniel J.Siegel, di un’incorporazione. A dirci cos’è che si incorpora è il riferimento mitologico a Seth e agli asterismi associati al rivale di Horus (Vedi l’articolo: “Il mito di Hosus e di Seth e il rapporto luce materia”). Seth è l’asino (soma), è il toro ed è associato alle stelle che circondano il Polo Nord, le stelle Mesket, termine che ha molto in comune con Meska e che indica anche un misterioso potere rigenerante. La Coscia del Toro o Spalla del Vitello (Coscia anteriore del Toro), denominata Masketi o Masketiu, quindi Seth, è emblema della “forza forte delle forze”.
L’interazione forte, ossia la “forza forte delle forze”, è quella che, per usare un termine improprio ma che rende l’idea, tiene insieme i quark a formare protoni e neutroni e questi a formare il nucleo dell’atomo. Le particelle interessate sono i gluoni e i pioni.
L’interazione forte (Seth), è assimilabile, quindi, nel mito, alla materia dotata di massa, ossia agli atomi che formano molecole e, via via, organismi sempre più complessi; in altri termini: corpi. L’antagonista di Seth è Horus, la luce, ossia il fotone, quanto del campo elettromagnetico. Il fotone non ha massa e si muove alla velocità della luce. Prendendo energia “in prestito”, il fotone può temporaneamente trasformarsi in una coppia elettrone/protone o in una coppia protone/antiprotone. In questo caso il fotone Horus ricade nel dominio del gluone Seth, ossia della forza forte tra le forze. Di fatto la luce si incorpora.
Il passaggio nella pelle ha un’importanza centrale per la nostra riflessione e si pone, in primo luogo, in rapporto con il concetto di “tessitura”, alla cui base vi è il concetto egizio che un’azione determina una reazione e che l’azione e la reazione danno luogo alla realtà concreta, al volume.
L’azione determina la reazione e la loro dinamica relazione determina la vita. E’ lo stesso concetto del polemos di Eraclito.
L’azione della tessitura (tayt), secondo il principio che ci riporta all’analogia del verbo, del sostantivo e dell’aggettivo, è anche il tessuto.
I testi egizi ci consegnano un rito della vestizione del Neter con un tessuto (tessitura, tessere).
Il Neter femminile Reneunet offre una bandella (striscia di tessuto), essendo essa stessa la bandella, al Neter Amon, il Mn (nascosto) la cui parte femminile e manifestante è Amonet.
Reneunet rivolge ad Amon le seguenti parole: “Parole dette da (Ren n) unet, Signora di … Tu ricevi questa tua bella (bendella), tu, ricevi questo tuo tessuto mâr, tu ricevi questo tuo tessuto menkhebet. Tu appartieni a lei, tu sei perfetto in lei, in questo suo nome dei quattro tessuti-menkhebet. Essa si unisce a te in questo suo nome di stoffa-idmi”.
Amon appare ad Amonet, il suo aspetto femminile; è compiuto in lei ed è unito a lei
La vestizione con una tessitura-tessuto è un rivestire l’invisibile (il nascosto) rendendolo visibile; è un legare l’imponderabile a una materia ponderabile: uno spirito ad un corpo.
In termini generali possiamo dire, usando una metafora, che l’incorporazione è un vestire lo spirito di pelle; è il tessere attorno allo spirito un corpo.
Nei Testi delle Piramidi è scritto:
“Ti ho vestito con l’occhio di Horo, questa Reneunet. Ti ho portato l’occhio di Horo che è in Tayt, questa Reneunet”.
Nel testo si afferma che l’occhio di Horo è nella tessitura. Un’affermazione che ha un’implicazione sorprendente alla luce delle attuali scoperte scientifiche.
L’Occhio di Horo, vero scrigno scientifico, ha tra i suoi molteplici significati, anche quello che ci riporta al Dna, in quanto lo schema dell’occhio è un insieme di frazioni che riguardano un intero formato da 64/64.
Il codice genetico consiste di parole di tre lettere chiamate codoni, costituite dalla sequenza di tre nucleotidi (ad esempio ACU, CAG, UUU), ognuna delle quali è associata ad un particolare amminoacido. Ad esempio la timina ripetuta in una serie di tre (UUU) codifica la fenilalanina. Utilizzando gruppi di tre lettere si possono avere fino a 64 combinazioni diverse (4.4.4 o quattro al cubo{displaystyle 4^{3}}), in grado di codificare i venti diversi amminoacidi esistenti. [1]
Se prendiamo un compasso e tracciamo un cerchio, il rapporto tra questo cerchio e il suo diametro è il 3,14. Considerazione banale, se non fosse che il 3,14 è il rapporto tra il finito e l’infinito, tra il circolare che si ripete e la linearità e che nella sua ripetizione porta alla spirale: “simbolo supremo dell’evoluzione. Essa – scrive in proposito Katia Walter – abbina la linea e il cerchio e compendia il viaggio con il cambiamento; replica un antico movimento, eppure trasmette qualcosa di nuovo”. [2]
La spirale doppia del Dna è il modello che associa la ripetizione circolare del cerchio con la spinta direzionale della linea, per formare una scala spiraliforme. Non solo. La doppia elica del Dna si basa sulla sezione aurea.
Il Dna, pertanto, è in diretta relazione con il 64, il 3,14 e con il numero aureo 3,14 e 1,618.
Il 64 è il numero fondamentale del codice dell’Anthropos ed è il cubo di 4, che geometricamente è un cubo, i cui rapporti danno accordi musicali di ottava, di quinta e di quarta.
E’ interessante notare che il 64 è il risultato di 9 ottave musicali (7 per 9 = 63, più il do finale = 64) e che tra una nota e l’altra agisce il numero aureo.
L’essere umano, pertanto, è frattalicamente costruito in alcuni suoi organi interni ed è, nelle sue proporzioni esterne, formato secondo le proporzioni auree. Il codice che presiede alla sua nascita e alla sua vita è legato a numeri quali il 3,14 e 1,618, il 64, ma anche a quello che oggi viene definito caos strutturato.
James Hillman, nel suo: “Il codice dell’anima” scrive che a “determinare l’unicità [dell’essere umano] non è tanto il mazzo di materiale genetico, la mano di carte che ha ricevuto, quanto il modo in cui le carte si dispongono, formando una particolare, e vincente, configurazione. […] il particolare paradeigma che ci è toccato”. [3]
L’affermazione ordo ab chao non significa mettere ordine nel caos, ma rendere esplicito l’ordine implicito.
Non sappiamo quanta consapevolezza avessero gli antichi della frattalità e del caos strutturato, ma testi antichi come gli I-Ching ci dicono molto in proposito.
Katya Walter, che ha stabilito con rigore matematico la corrispondenza tra l’antico testo cinese e il Dna, scrive che non è da escludere che l’idea di “un vasto ordine radicato in un apparente sistema caotico, come il cosmo, fosse un gigantesco e dettagliato progetto”, e aggiunge che di quel dettagliato progetto il numero è “la radice fondamentale” e “la sua trama reticolare si interseca creando il tessuto di cui sono composti i nostri giorni”. [4]
Se l’Occhio di Horus è nella tessitura, significa che il processo di incorporazione avviene attraverso un criterio che si avvale di un codice criptato, la cui lettura (ossia il suo svolgersi) regola il determinarsi dell’evento corpo umano.
Il “passaggio nella pelle” ci consegna, ancora di più, il suo significato arcano se lo rapportiamo alla dinamica di formazione dell’embrione, così come la scienza ora è in grado di evidenziarci.
L’embriogenesi consta della formazione di una morula, la cui forma è molto simile al fiore della vita, così come è rappresentato nel Tempio di Osiride ad Abydos.
Da sinistra: la morula, il fiore della vita ad Abydos, lo studio di Leonardo da Vinci.
La morula dà origine a un disco di due lamine (epiblasto e ipoblasto) e alla terza settimana di gestazione alla gastrulazione, ossia alla formazione di tre foglietti: endoderma, mesoderma ed ectoderma.
- L’endoderma darà forma alla bocca, al naso, all’apparato respiratorio, all’esofago, al fegato, agli intestini, al colon, al retto e alla vescica.
- Il mesoderma darà forma alle vertebre, alle strutture muscolari e al processo notocordale (collegamento tra zona boccale e zona cloacale).
- L’ectoderma darà forma al sistema nervoso, all’encefalo, al midollo spinale e all’epidermide.
Possiamo pertanto dire, semplificando al massimo il concetto scientifico e in perfetta assonanza con la tradizione egizia, che l’incorporazione è un “passaggio nella pelle”.
Non è un caso che nei secoli gli esseri umani abbiano identificato la pelle con il proprio essere vivi nel corpo materiale. Morire è “lasciarci la pelle”. Rischiare di morire è “rischiare la pelle”. Di fronte ad una minaccia ineludibile si “vende cara la pelle”.
La pelle, nelle sue tre determinazioni di endoderma, mesoderma ed ectoderma) dà forma all’insieme del corpo umano, che per l’attuale scienza (fisica, biologia, ecc.) è un sistema omeostatico autopoietico.
Secondo Fritjof Capra, la “struttura [sostanza] di un sistema è la materializzazione fisica del suo schema di organizzazione”, laddove per schema di organizzazione intende “quella configurazione di relazioni che conferisce a un sistema le sue caratteristiche essenziali”. [5]
Fritjof Capra, nel suo: “La rete della vita” (Rizzoli) introduce inoltre il concetto di “anello di retroazione o omeostasi, ossia di quel meccanismo di autoregolazione che permette agli organismi di mantenersi in uno stato di equilibrio dinamico attraverso l’oscillazione di funzioni variabili entro limiti di tolleranza”.
La fisica quantistica ci dice che non ci sono “cose”, ma “eventi”, che hanno una durata limitata, essendo un evento “un interagire momentaneo di forze, un processo che per un breve istante riesce a mantenersi in equilibrio simile a se stesso”, [6] cosicché anche il vivente, compreso il vivente umano, è un evento, frutto di una rete di eventi e di campi interagenti in funzione di uno schema relazionale.
E’ del tutto evidente che in una visione del mondo come insieme di eventi che rispondono a schemi organizzativi, gli schemi sono un aspetto costitutivo essenziale e permanente e questa considerazione ci riporta all’importanza di una considerazione geometrica del vivente.
Lo schema di organizzazione è immateriale e la sua proprietà più importante è che “si tratta di uno schema a rete” [7], ossia di un’organizzazione che non soggiace alla linearità.
In un sistema vivente i componenti cambiano di continuo. “Ogni cellula sintetizza e scompone senza sosta strutture [ sostanze]. I tessuti e gli organi sostituiscono le proprie cellule in cicli continui. […]. Questa straordinaria proprietà dei sistemi viventi suggerisce – sostiene Capra – di utilizzare il processo come criterio per una descrizione completa della natura della vita. Il processo della vita è l’attività necessaria alla continua materializzazione dello schema di organizzazione del sistema”. [8]
La teoria dell’autopoiesi di Maturana e Varela definisce gli esseri viventi come un particolare tipo di “macchina” omeostatica.
Si intende come omeostatica una “macchina” capace di mantenere costanti, o entro uno spettro limitato di valori, le variabili che la definiscono.
Tra le “macchine”omeostatiche, quelle autopoietiche mantengono costante la propria organizzazione, la propria identità: rimangono se stesse e le possiamo definire organismi.
Un sistema vivente “può presentarsi come un’unità di interazioni e come individuo in virtù della sua organizzazione autopoietica, la quale determina che qualsiasi cambiamento nel sistema sarà sempre subordinato alla conservazione del sistema, fissando in tal modo ciò che appartiene e ciò che non appartiene alla sua materializzazione fisica”. [9]
La storia del sistema vivente è una storia di cambiamenti nel corso della quale l’organizzazione autopoietica del sistema rimane invariata.
Al concetto di “evento” si collega quello di ordine e di mantenimento dello stesso, al fine di conseguire la stabilità. Al mantenimento dell’ordine è preposto il lavoro neghentropico, ossia quel lavoro che consente ad un evento di permanere.
L’«evento» essere umano, al fine di mantenere la sua stabilità, lavora continuamente a mantenere il proprio ordine, importando neghentropia (ossia energie informate) ed esportando entropia (esempio: calore).
La tendenza alla conservazione trova un significativo riscontro in quanto scrive Baruch Spinoza nel ‘600, quindi in epoca ben lontana da quella delle elaborazioni scientifiche attuali riguardanti il vivente.
Nell’Etica, Spinoza scrive: “Ciascuna cosa, per quanto sta in essa, cerca di perseverare nel suo essere”. E aggiunge: “Questo impulso, quando si riferisce alla sola mente, si chiama volontà, ma quando si riferisce insieme alla mente ed al corpo, si chiama appetito, il quale non è, quindi, altro che la medesima essenza dell’uomo, dalla cui natura seguono necessariamente le cose che servono alla sua conservazione; e perciò l’uomo è determinato a fare le medesime cose. Poi tra l’appetito e il desiderio non c’è nessuna differenza, tranne che il desiderio si riferisce per lo più agli uomini in quanto sono consci del loro appetito, e per questa ragione si può definire così, vale a dire: il desiderio è l’appetito accompagnato dalla coscienza di sé medesimo”.
Non solo, ma Baruch Spinoza anticipa un concetto che diverrà di attualità nella seconda metà del ‘900 con l’idea olistica dell’esistente e, pertanto, anche dell’essere umano.
Scrive Spinoza: “L’idea di tutto ciò che accresce o diminuisce, aiuta o reprime la potenza di agire sul nostro corpo, accresce o diminuisce, aiuta o reprime la potenza della nsotra mente”.
Lo stato del corpo e quello della mente sono in rigorosa corrispondenza.
Rivediamo, ora, le tre “pelli” che formano il corpo umano alla luce di quanto detto sopra:
- l’endoderma che ha dato forma alla bocca, al naso, all’apparato respiratorio, all’esofago, al fegato, agli intestini, al colon, al retto e alla vescica, si propone come il maggior elemento di acquisizione di energia neghentropica.
- Il mesoderma che ha dato forma alle vertebre, alle strutture muscolari e al processo notocordale (collegamento tra zona boccale e zona cloacale), si propone come il maggior elemento di formazione della struttura portante.
- L’ectoderma che ha dato forma al sistema nervoso, all’encefalo, al midollo spinale e all’epidermide si propone come principale elemento di strutturazione degli apparati elaborativi (mente razionale) e intellettivi (intelletto).
Nell’essere umano la realizzazione dello schema organizzativo è del tutto evidente, sia alla luce delle precedenti conoscenze (pi greco e numero aureo) sia alla luce delle recenti, quali la frattalità. La struttura scheletrica e muscolare portante segue il criterio pi greco e numero eureo, mentre le strutture neuroniche, polmonari, bronchiali, dei vasi sanguigni seguono una geometria frattale.
Da sinistra: le strutture polmonare e neuronica, con geometria frattalica e, infine, l’uomo leonardesco, la cui struttura segue le leggi del numero aureo.
Il rito del “passaggio nella pelle” si collega alle dinamiche dell’incorporazione.
Il rito, tuttavia, non si ferma ad affermare la dinamica incorporativa, ma rinvia a significati arcani, collegati ad una rinascita, in una pelle diversa da quella corporea umana.
Vediamo, pertanto, di indagare il significato profondo del rito del “passaggio nella pelle” che si nasconde sotto la “pelle di leopardo”.
Il “passaggio per la pelle”, come s’è detto, è la terminologia simbolica relativa ad una cerimonia segreta, che doveva sancire la “seconda nascita”, durante la quale l’iniziando era rivestito da una pelle di leopardo, doveva assumere una posizione fetale ed entrare in uno stato simile a quello della vita prenatale, rimanendo però cosciente.
I sacerdoti egizi chiamarono Meska la pelle sotto la quale si poneva l’iniziando, la pelle che simboleggiava la membrana che avvolge il feto che appunto si trova nel ventre della madre. Il termine è mes, che significa “nascita” e ka, “doppio”.
Il rito del “Passaggio per la pelle” veniva svolto anche a beneficio di nobili defunti e dello stesso Faraone. Lo celebrava il sacerdote Sem, il quale, dopo essersi seduto in posizione fetale, cadeva nel sonno magico con lo scopo di sdoppiarsi per assistere il defunto nell’aldilà e condurlo in salvo nella terra celeste.
Chi è il sacerdote Sem?
Secondo Sergio Botta e Marianna Ferrara (Corpi sciamanici), è l’erede della forma antica Tjet, sciamano che indossa una pelle di leopardo e, pertanto, è l’erede di una componente sciamanica diffusa in alcune culture tribali nilotiche.
La pelle di leopardo, ossia di un animale consacrato ad Osiride, è maculata, come il cielo e pertanto, indossandola, il sacerdote Sem prende su di sé i poteri sovrannaturali celesti e di comunicazione tra il mondo dei Neter e quello umano. [10]
Interessante, nell’iconografia egizia, notare che a vestire la pelle di leopardo non era solamente un sacerdote maschio, ma anche una sacerdotessa, la cui presenza collega il rituale alla dea Seshat.
Christian Jacq scrive che “la sovrana della Casa della Vita, dove si componevano i rituali e dove i faraoni venivano iniziati ai segreti della loro funzione, era una dea, Seshat. …. Vestita di una pelle di pantera [simile a quella del leopardo, le cui macchie nere erano a volte rappresentate in forma di stelle, ndr], con la testa coronata da una stella a sette punte (a volte a cinque o a nove), Seshat” è depositaria, assieme al faraone, “dei segreti della costruzione del tempio…”. [11]
La pantera, nell’immaginario medievale, è l’animale che quando è sazio dorme per tre giorni e poi esce dalla sua tana. La pantera, così concepita, è simbolo della discesa agli inferi e della resurrezione.
La pelle di leopardo, inoltre, nella sua versione stellare, ricorda la dea Nut, il Neter celeste dell’Enneade.
Una pelle giallo oro, maculata di stelle, ben si attaglia all’idea di un corpo di luce.
Seshat, il cui nome significa: “la Scriba “ è la dea della scrittura, dell’aritmetica, delle progettazioni architettoniche di templi ed edifici reali e dell’architettura in generale, ed è variamente venerata come moglie (oppure sorella o figlia) e paredra di Thot; era chiamata “Signora dei costruttori”, “Dea dell’edilizia”, “Fondatrice dell’architettura”, “Signora delle stelle”, “Signora dei libri”, “Bibliotecaria celeste”.
Seshat era considerata una fra le più colte tra le varie divinità dell’Egitto, una divinità-maestra d’aritmetica, astronomia, astrologia e architettura, e per questo venerata dagli scribi nella Casa della Vita, di cui era la protettrice.
Alla sua parrucca era fissato un alto arbusto a sette punte, dalla natura dibattuta, probabilmente l’albero ished della conoscenza e dell’immortalità terminante con una stella, o una rosetta, a sette petali. L’albero Ished, trova riferimenti nel Libro dei Morti e nei Testi dei sarcofagi, secondo i quali cresceva nel mondo degli dei.
Conoscenza e immortalità sono pertanto associate e Seshat, paredra di Thoth. I due Neter della conoscenza trasferita agli esseri umani.
I Neteru sono energie e conoscere il nome di un Neter significa conoscerne il principio funzionale. Pertanto, la conoscenza dei Neteru (plurale di Neter) è scienza.
La conoscenza per gli Egizi non è un peccato (vedi articolo: “Adamo ed Eva tra conoscenza e dipendenza”) ma la somma virtù dell’essere umano. La conoscenza di tutte le cose è Sa, l’intelligenza suprema che crea attraverso la potenza del verbo: Hu, essendo il verbo Thoth.
Nella teoria attuale dei sistemi viventi il processo della vita si identifica con la cognizione, ossia con il processo della conoscenza. Conoscere è vivere e vivere è conoscere.
Conoscere è anche la modalità con la quale l’essere umano corregge la sfocatura che non gli consente di vedere oltre e di acquisire la potenza dell’Occhio di Horus.
Il rito del “passaggio della pelle”, pertanto, si pone come un’affermazione di rinascita nella dimensione celeste e, come rituale iniziatico, si pone come processo di acquisizione di consapevolezza dell’immortalità dell’anima.
Come direbbe Baruch Spinoza, l’essere umano, acquisendo la conoscenza della natura vera della realtà, può conseguire, già in vita, la certezza dell’eternità della mente (anima) e perciò la beatitudine.
©Silvano Danesi
[1] Il codice genetico è l’insieme dei meccanismi attraverso i quali viene tradotta l’informazione codificata negli acidi nucleici costituenti i geni per la sintesi di proteine nelle cellule.
La decodifica biologica viene effettuata dal un particolare RNA nel ribosoma, il quale assembla una serie di aminoacidi secondo un ordine specificato dall’mRNA. Ciò avviene utilizzando l’RNA transfer (tRNA), che trasporta gli aminoacidi e che legge l’mRNA tre nucleotidi alla volta, più specificamente la loro tripletta di basi, o codone. Un codone corrisponde a un singolo amminoacido.
Poiché la maggior parte dei geni si esprime secondo lo stesso codice, questo viene spesso indicato come “codice genetico canonico” o “standard”, o semplicemente “il codice genetico”, anche se in realtà alcune versioni si sono con il tempo evolute. Ad esempio, la sintesi proteica che avviene nei mitocondri umani si basa su un codice genetico leggermente diverso da quello standard.
Le basi dell’RNA sono quattro: adenina, guanina, citosina ed uracile (nel DNA l’uracile è sostituito dalla timina). Esistono quindi 43 = 64 codoni possibili. 61 di essi codificano gli amminoacidi, mentre i restanti tre (UAA, UAG, UGA) codificano segnali di stop (stabiliscono, cioè, a che punto deve interrompersi l’assemblamento della catena polipeptidica).
[2] Katya Walter, Il Tao del Caos, Piemme
[3] James Hilman, Il codice dell’anima, Adelphi
[4] Katya Walter, Il Tao del Caos, Piemme
[5] Fritjof Capra, La rete della vita, Rizzoli
[6] Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, Adelphi
[7] Fritjof Capra, La rete della vita, Rizzoli
[8] Fritjof Capra, La rete della vita, Rizzoli
[9] Humberto Maturana e Francisco Varela, Macchine ed esseri viventi, Astrolabio
[10] Sergio Botta e Marianna Ferrara, Corpi sciamanici, Ed. Nuova Cultura
[11] Christian Jacq, Le donne dei faraoni, Mondadori
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