Gli asterismi e lo zodiaco sono antologie mitologiche e poiché, come scrive Carlo Rovelli: “I miti si nutrono di scienza e la scienza si nutre di miti”[i], i miti narrano di eventi scientifici.
Il filosofo della scienza Karl Popper, nel suo: “Logica della scoperta scientifica”, scrive:“Gli analisti del linguaggio credono che non ci siano problemi filosofici genuini, e che i problemi della filosofia, ammesso che ce ne siano, siano problemi concernenti l’uso linguistico, o il significato delle parole. Invece io sono convinto che esista almeno un problema al quale sono interessati tutti gli uomini dediti al pensiero. Il problema della cosmologia: il problema di comprendere il mondo, compresi noi stessi E la nostra conoscenza, in quanto parte del mondo. Sono convinto che tutta la scienza sia cosmologia, e per me l’interesse così della filosofia come della scienza risiede unicamente nei contributi che queste due discipline hanno portato a questo problema”. [ii]
Nell’introduzione al testo del filosofo, scienziato e alchimista Ruggero Bacone (1214-1294), “La scienza sperimentale” edito da Rusconi, Francesco Bottin scrive che “alla fine del XII secolo”, le istanze religiose della “teologia mistica […]” hanno avuto “l’opportunità di trovare un fondamento filosofico e scientifico grazie alle nuove traduzioni di testi greci e arabi. Il Liber de causis, una compilazione di testi neoplatonici, verrà appunto tradotto da Gerardoda Cremona intorno al 1187. In quel periodo diverranno accessibili ai Latini molte altre opere filosofiche e scientifiche, dal Fons Vitae di Avicebron, alla Metaphysica di Avicenna, al De radiis di al-Kindi e al De aspectibus di Alhazen, oltre ad altre ad opere di Euclide e di Tolomeo”. [iii]
In questo recupero di opere filosofiche e scientifiche la metafisica della luce trova un fondamento scientifico, sul quale si innesta la riflessione di Ruggero Bacone, con il De multiplicatione speciarum che si propone “di determinare scientificamente le leggi ottiche in base alle quali tutta la realtà risulta connessa con l’Essere Supremo”. [iv] Ruggero Bacone sostiene che è attraverso la propagazione delle species o forma visive delle cose che l’universo entra in una complessa sinergia che riguarda sia le più piccole cose terrestri, sia i grandi movimenti stellari. Da qui anche la sua concezione della vera astrologia, che si basa sullo studio scientifico degli influssi astrali, che non fa previsioni specifiche, ossia gli oroscopi delle fattucchiere, ma deve occuparsi degli influssi generali («astronomus non debet dicere rem specialiter sed universaliter». (Opus maius).
Nell’Opus maius Bacone scrive: “I veri astrologi non hanno la pretesa di conoscere con certezza le vicende umane, ma si limitano a stabilire in quale modo l’influsso astrale può modificare i corpi e come tale influsso sui corpi poi si riversa a sua volta negli animi, spingendo a compiere determinate azioni pubbliche o private, pur restando immutata in ognuno la libertà di giudizio”.
Bacone ritiene che le forze emanate dai corpi celesti siano in grado di modificare i nostri organi e l’attività dell’astrologo, che si basa su conoscenze scientifiche, consista nello spiegare gli eventi in base agli influssi generali.
Questa concezione unitaria dell’universo, che ovviamente va collocata nel XII secolo, non è dissimile dalle attuali idee relative ad un universo ologrammatico e frattalico.
Ed è qui, probabilmente, il senso autentico dell’astrologia del divenire.
L’universo, per Bacone, è stato costruito in modo armonico e il sapere umano ha il compito di conoscere e ricostruire tale armonia. Compito attualissimo.
Nella lettera a Clemente IV, con la quale accompagna l’invio al Papa del testo “La scienza sperimentale, Ruggero Bacone, dopo aver affermato che “il bene dell’umanità intera dipende dallo sviluppo del sapere, mentre al contrario l’intero universo ricava un gran danno dal ristagno degli studi”, si occupa delle varie materie e, a proposito dell’astrologia, scrive che “non vi è nulla da obiettare contro l’astrologia, in quanto fa parte del sapere scientifico, ma solo contro l’uso dell’astrologia nelle pratiche magiche”.
L’astrologia è strettamente connessa con la mitologia, la quale ci narra degli immaginali, ossia degli archetipi, altrimenti detti dei.
Karl Popper, in una lezione dal titolo: “Considerazioni di un realista sul problema del corpo-mente” scrive. “Queste favole, o storie o miti sono anche le originarie spiegazioni teoriche. Gli inizi della scienza presso i Greci risalgono a Omero e a Esiodo; gli inizi dell’arte, i dipinti in grotte preistoriche di caccia e di animali sono storie magiche; l’arte egiziana e quella assira sono in gran parte illustrazioni di storie o illustrazioni della storia di quell’epoca. E’ così che si arriva allo sviluppo di un mondo 3”. [v]
E che cosa sia il mondo 3 Popper ce lo dice in questo modo. “Con «mondo 3» intendo, più o meno, il mondo dei prodotti delle menti umane”. [vi]Un mondo dotato di realtà e di autonomia, che interagisce con il mondo fisico e con il mondo psichico.
Studiare con sguardo critico e attento i miti è accostarsi alle originarie spiegazioni teoriche, ma anche entrare nel mondo 3 nel quale si assiste al “sorgere autonomo di problemi non pensati” e ci si collega ad un “universo intelligente problematico”. [vii]
Il mondo dei miti è il solo prodotto della mente umana che assume autonomia? Oppure i miti mettono in azione narrativa archetipi che hanno una propria autonoma esistenza e sono il portato dell’anima mundi, la psiche universale, della quale sono frattali le anime individuali? O, ancora, sono gli archetipi l’impronta (typos) dell’archè (archè-typos)?
Dietro la coscienza ci sono gli archetipi e questi sono narrati in miti che si intrecciano con le immagini zodiacali (Ares, Ercole, ecc.).
L’astrologia, pertanto, è anche psicologia, in quanto collega la psiche individuale al complesso archetipico.
Una psicologia che parla di anima e di archetipi è una prospettiva immaginativa, cosicché gli archetipi diventano i modelli più profondi del funzionamento psichico (Hillman).
Una relazione con gli archetipi presuppone una prospettiva cosmoteista, politetista e enoteista; non una prospettiva monoteista.
Nel politeismo, meglio: nell’enoteismo (è il caso, ad esempio, dei Celti e degli Egizi), Dio rimane inconoscibile ed è conosciuto tramite gli dèi, che ne sono gli aspetti manifesti, ovvero le forme pensiero che la mente riesce a concepire in quanto archetipi.
Nel cosmoteismo la base è la natura e non c’è spazio per l’antagonismo religioso. Nell’antichità, in quanto cosmiche, le religioni erano internazionali. Le divinità cosmoteiste e politeiste erano traducibili e, di conseguenza, il concetto di falsa religione non esisteva. Gli dèi delle religioni straniere non erano considerati falsi e fittizi, ma divinità simili o uguali alle proprie, solo con un nome diverso.
Nel III millennio a.C. si ha il passaggio dalle religioni cosmogoniche a quelle solari, con la progressiva sostituzione della religione della Dèa Madre con le religioni patrilineari.
In Egitto la rivoluzione eliopolitana (III millennio), pone le basi per la controreligione del dio unico, perfezionata, mille anni dopo, da Akhenaton. Il faraone, da corpo simbolico del principio creatore, originariamente uomo che doveva realizzare Mâat (il giusto equilibrio) sulla Terra, si propone come figlio di Ra e suo unico interprete. Il clero eliopolitano si lega strettamente alla monarchia faraonica.
Akhenaton, mille anni più tardi, introduce la distinzione tra un dio vero e i falsi dèi, dando origine ad una controreligione che divide e rende intraducibili gli dèi altrui. Esiste un solo dio, Aton e Akhenaton è suo figlio. Non solo, ma lui e la sua “sacra famiglia”, ossia Nefertiti e le figlie, sono i soli a poter far da tramite tra gli uomini e l’unico dio. La religione di Aton introduce così una sorta di settarismo intollerante che nessuno degli dèi tradizionali aveva conosciuto. [viii]
Con il monoteismo la fobia del diverso sostituisce la tolleranza dell’analogo. Qui troviamo le premesse per le guerre sante, le crociate, i progrom, le persecuzioni. Non può esservi monoteismo “senza brama di supremazia. Dopo che si è riusciti a garantire una posizione prioritaria all’«Uno e Unico» solo facendo indietreggiare gli altri candidati – scrive Peter Sloterdjk – , ecco che il controllo sui retrocessi si configura come un problema cronico. Già nella primissima matrice monoteistica, si delineano i contorni delle caselle che saranno poi coperte dagli avversari di turno del Dio unico. La nuova contrapposizione lascia trapelare presto la sua tendenza polemica. L’uno vero e ultra terreno contro i molti falsi e terreni”.[ix]
Il dio cosmogonico si manifesta attraverso la natura. Con l’enoteismo le varie divinità sono epiclesi del dio unico, il Tutto, che rimane inconoscibile ed è immanente, in quanto ogni aspetto della vita è dio e, al contempo, è trascendente, in quanto è dal suo ritrarsi, dal suo essere anche altro che si rende possibile l’identità delle sue infinite manifestazioni. E’ un dio da conoscere attraverso la sua manifestazione essendo egli il punto limite della conoscenza. Il dio Uno-Tutto del cosmoteismo, dunque, invita alla conoscenza.
Gli antichi percorsi iniziatici, per quel che ci è dato sapere, erano intesi a condurre l’uomo verso la conoscenza. Una conoscenza progressiva, che avveniva per gradi e portava, alla fine del percorso, all’epopteia conoscitiva, ossia alla visione somma, all’illuminazione. Il rapporto con la divinità si concretizzava in un percorso di conoscenza.
Le religioni monotesitiche sono strutture chiuse, dogmatiche.
La religione cosmogonica ed enoteistica è una struttura aperta e, in quanto tale, liberatoria. Ogni conoscenza viene considerata provvisoria: un passo nel lungo cammino. Con l’alfabeto archetipico degli dèi si compongono frasi infinite; si cammina sulla via della conoscenza.
Gli dèi sono modalità conoscibili, modelli immagibali che la nostra mente riesce a concepire, nella continua tensione verso la conoscenza di un dio che rimane nascosto. Gli dei sono principi, leggi naturali, aspetti psicologici dell’uomo. Le religioni cosmogoniche consentivano e, anzi, stimolavano, attraverso il rapporto con il macrocosmo nei suoi vari aspetti, la conoscenza del microcosmo. Conoscere se stessi era una via per conoscere l’altro da sé e conoscere l’altro da sé era una via per conoscere se stessi. Così in alto come in basso.
[i] Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi
[ii] Karl Popper, Logica della scoperta scientifica, Prefazione all’edizione del 1959, Einaudi
[iii] Francesco Bottin, Introduzione a: Ruggero Bacone, La scienza sperimentale, Rusconi
[iv] Francesco Bottin, Introduzione a: Ruggero Bacone, La scienza sperimentale, Rusconi
[v] Karl Popper, Considerazioni di un realista sul problema corpo-mente, in Tutta la vita è risolvere problemi – Scritti sulla conoscenza, la storia e la politica, Rusconi
[vi] Karl Popper, La conoscenza e il problema corpo-mente, Il Mulino
[vii] Karl Popper, La conoscenza e il problema corpo-mente, Il Mulino
[viii] Franco Cimmino, Storia delle piramidi Euroclub
[ix] Peter Sloterdjk, Il furore di Dio, Cortina
Leave a Reply