CORPO DI LUCE (2)

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CORPO DI LUCE (2)

Seconda parte dell’intervento di Silvano Danesi al convegno: “Il corpo di luce”.

Poniamoci ora la domanda centrale relativa a questa riflessione: “Esistono esseri fisici composti da sola luce, dotati di intelligenza e di coscienza, capaci di interagire tra di loro e con gli esseri dotati di un corpo materiale?”.

La risposta che ci viene dalla tradizione è positiva.

 I “Vigilanti”: esseri fisici di luce

La tradizione egizia, fissata nel linguaggio geroglifico, ci trasferisce l’esistenza di esseri fisici, non simbolici, di luce.

In Egitto gli “Aku, o «spiriti» – scrive Dimitri Meeks – appartengono piuttosto al mondo dei morti, sia che un tempo siano stati vivi, sia che facciano parte della popolazione autoctona, e questo spiega le apparenti contraddizioni della loro natura. Tra loro si incontreranno, di volta in volta: defunti in pace, fantasmi, démoni malvagi, geni benevoli o esseri superiori senza alcun interesse per il mondo dei vivi”. [1]

Gli Akhou possono essere Neterou.

Massimo Barbetta, nel suo “La porta degli dei”, scrive di molti riferimenti , nei testi egizi, di un folto gruppo di “esseri” definiti Henmemet e riferisce che “secondo antiche leggende, proprio nella Heliopolis «terrestre», fosse stanziata un’assemblea di saggi, eredi umani di esseri o spiriti che si sostanziavano solo grazie alla luce. Ma di «luce» essi sembravano avere anche l’aspetto, vista la presenza del determinativo del «sole che manda raggi», frequente espressione di oggetti o di persone che emanano luce o brillantezza o radiosità, che era un permanente determinativo del loro nome”. [2]

Gli Henmemet, ci avverte Barbetta, sono convenzionalmente conosciuti dagli egittologi come “popolo del sole” e risultano abbinati nel lessico geroglifico, sia agli Aaku-u, “Spiriti divini”, sia agli AAkhu-t, “Spiriti umani”.

Gli Henmemet sono considerati dagli egittologi una classe di esseri celesti, intermediari tra gli dèi e gli uomini e che potrebbero aver dato origine agli Shemsu Hor, i seguaci di Horus.

“Per Vincent Bridges gli «Henmemet» – ci ricorda Barbetta, al cui testo: “La porta degli Dèi”, rimando per ogni approfondimento – erano esseri fisici, non spirituali, che si spostavano tra le stelle. Essi erano caratterizzati da una forte connotazione di «luce», che li «nutriva» e li «rivestiva»”. [3]

Come determinativo che li riguarda gli Henmemet hanno una pianta. Custodi di piante o di erbe, gli Henmemet potrebbero essere anche considerati civilizzatori che hanno insegnato la domesticazione dei vegetali agli esseri umani.

Va ricordato che il loto è seshen ed è il simbolo del rapporto tra la terra (le sue radici affondano nella terra intrisa d’acqua) e il cielo. Il loto blu è il fiore nel quale è nato Horus (simbolo del cielo nel quale nasce il sole). Il sacro loto è, inoltre, simbolo di vita eterna e di rinascita. Non a caso il geroglifico del loto indica, numericamente il numero mille, ossia le Migliaia che, potrebbe anche avere a che fare con la “Nascita delle Migliaia”, khau mes, associata alle Pleiadi.

Non entro nel merito degli aspetti astronomici e di viaggi stellari. Chi volesse approfondire legga il bel libro di Barbetta. Tuttavia, è necessaria un’ultima citazione.

“Gli «Henmemet» – scrive Barbetta – erano, inoltre, molto vicini agli dèi e, talora, venivano assimilati a «Dei che stanno in cielo», venendo accostati, in un contesto celeste, a Sirio, Orione e alle «Stelle che non tramontano»”. [4]

Sirio e Orione sono due costellazioni alle quali sono associati rispettivamente Iside e Osiride, i due Neter civilizzatori che hanno donato agli esseri umani i segreti della coltivazione. Iside e Osiride, nella declinazione greca sono Demetra e Dioniso.

Gli Henmemet possono pertanto essere una chiave interessante per capire i Riti Isiaci e Osiriaci e quelli Elesusini che, evidentemente, contenevano segreti scientifici che oggi la scienza potrebbe rendere comprensibili.

Gli Henmemet potrebbero essere gli “Splendenti” babilonesi o gli Elohim ebraici. Infatti a questo proposito Barbetta ricorda come Christian e Barbara O’Brien (The Shining Ones), ritengono che gli Splendenti sarebbero alla base della radice etimologica del termine ebraico per “Dei” Elhoim.

L’etimologia del termine Henmemet, sempre secondo Barbetta, sarebbe composto da due parole unite fra di loro: la H, dal senso di “stesso, autonomo” e dal fonema Hen, dal significato di “dirigere, comandare, governare” o dal fonema graficamente omologo, ma dal significato di “correggere, affrettarsi”. La seconda parte sarebbe formata dalla radice Nem, che significa camminare, viaggiare, spostarsi.

Seguiamo ancora Barbetta, il quale ci informa che nel papiro Carlsberg VII, di epoca tarda, vi sono frammenti di una sorta di dizionario, che alla voce Hnmmt riporta la glossa gente del dio Atum.

Se si consultano i vocabolari egizi, si scopre che met significa vedere e spettatore (behold) e che anche m ha lo stesso significato. Il verbo hn ha il significato di formare, equipaggiare, comandare, controllare.

Nell’insieme Henmemet potrebbe significare coloro che vedono e controllano da spettatori, ossia i Vigilanti dei quali riferiscono molte tradizioni.

Interessante anche la traduzione di met come “nave del corpo”, ossia contenitore del corpo e di “in addressing female, che li indica come coloro che osservano e si rivolgono alle femmine. Un concetto che è perfettamente in linea con il Libro della Genesi.

Nella Genesi 6:1-8 si legge infatti: «Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro delle figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli a loro scelta. Allora il Signore disse: “Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni”. C’erano sulla terra i giganti a quei tempi – e anche dopo -, quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi».

Massimo Barbetta, in un articolo pubblicato su Archeomisteri n° 11 del settembre/ottobre 2003, a proposito degli Ha(u)nebu, un popolo misterioso, associato agli Atlantidei, scrive che sono associati alle divinità e al cielo e considerando il nome egizio Nebu uguale a Signori, ritiene possa richiamare la radice ebraica Neph, relativa ai Nephilim, coloro che sono stati fatti scendere sulla Terra. Barbetta ricorda anche le possibili assonanze con le divinità creatrici dei Maya: Hunab ku, Hun Hunahpu, Vucub Hunahpu, Hunahpu.

Interessante anche il possibile accostamento con i me della mitologia sumera.

I me, nella mitologia sumera, sono delle forze impersonali che concorrono, insieme con gli Dei, a garantire l’ordine dell’universo; definiscono energie, stati o azioni create da forze divine, capaci di mantenersi in esistenza ed in moto continuo grazie ad una forza propria, indipendente ed a sé stante. I me hanno origine divina e descrivono le regole e le leggi divine che stanno a fondamento dell’uomo, del suo divenire e della sua civiltà.
Nella mitologia, i me sono custoditi dal dio degli oceani Enki, il quale, in un momento di ebbrezza, li cede alla dea Inanna, nipote di Enlil, suo fratellastro e superiore a tutti gli dei sulla terra, la quale, dopo aver superato molti ostacoli, ne fa dono ai suoi protetti, gli abitanti della città di Uruk, grazie ai quali essi accrescono il benessere e la prosperità della città.

La tradizione ebraica ci consegna molti esempi di esseri di luce. Nella tradizione ebraica di origine cananea troviamo i Beney elohim. “Secondo i testi di ras Shamra – scrive André Caquot – il grande dio El è circondato da divinità differenziate, chiamate collettivamente ilm (dei) bn ilm (figli di Dio) o ben qdsh (santi)”. [5]

I Maleâk sono esseri inferiori a Dio e superiori all’uomo; sono i messaggeri di Dio e una guida inviata agli esseri umani. Maleâk è derivato nominale della radice l-e-k (latore), dalla quale ha avuto origine il verbo inviare in diverse lingue semitiche, tranne l’ebraico e l’aramaico. Lo si trova nella lingua Ras Shamra e Maleâk è un termine usuale nella lingua fenicia. L’origine cananea del nome ebraico dell’angelo è, pertanto, verosimile. [6]

“Essere celeste, in grado di scendere in ogni momento in un luogo qualsiasi della terra, l’angelo può passare per un modello di onniscienza”. [7]

L’angelo interprete rappresenta una personificazione dell’ispirazione divina e i nomi degli angeli comparvero dopo il rientro da Babilonia. Gabriele è “l’uomo di Dio”, Michele è “Chi è come Dio?”. Raffaele è il “guaritore”.

“Di norma – scrive André Caquot – gli angeli sono invisibili. Quando si lasciano vedere, per ordine del loro signore, hanno un aspetto umano, ma trasfigurato da una luce soprannaturale; sono gli «angeli della luce» (II Corinti, XI,14), «essi camminano su lingue di fuoco, sono vestiti di bianco e il loro volto brilla come il cristallo» (Henoc etiopico LXXI, 1). […]. Sono fatti di fuoco e di fiamme (Apocalisse siriaca di Baruc XXI,6). […]. Sono spiriti che sfuggono alla condizione corporea; non si nutrono (Talmud Yoma, 75b), non generano, salvo rare eccezioni, conoscono segreti inacessibili all’uomo […] sono immortali”. [8] L’angelo opera una metamorfosi salendo in cielo insieme alla fiamma con la quale la sua natura deve avere una qualche affinità.

 

In Babilonia il genio intercessore Karibu si trova all’ingresso del santuario. Karibu significa l’orante (da Karâbu, pregare). I Karibu erano assimilati a divinità erano preceduti dall’ideogramma Dinger e possono essere assimilati all’ebraico Kerubin.

 

Nella mentalità altaica, come riferisce Jean Paul Roux, non si distingue il materiale dallo spirituale, l’animato dall’inanimato e in tutti gli esseri viventi vi sono una o più anime e “tutto ciò che nell’universo manifesta un potere superiore alle normali capacità umane e inferiore all’onnipotenza celeste, può essere considerato una potenza intermediaria”.[9] Questi esseri speciali sono “esseri eccezionali le cui caratteristiche sono prossime a quelle attribuite ai geni, agli angeli, ai démoni, agli dèi minori e ai santi. […]. Giungiamo così alla constatazione – sostiene Jean Paul Roux – che le potenze intermediarie che, nella regione altaica, occupano approssimativamente il posto riservato, in altri sistemi religiosi, ai geni e ai démoni, non sono né esseri celesti, né esseri umani, né vegetali, né animali, ma possono essere stati o diventare esseri intermediari”. [10]

“L’armonia cosmica – sostiene Jean Paul Roux –, il parallelismo tra Cielo e Terra, bastano a mantenere l’equilibrio dell’universo. Quando la volontà divina vuole manifestarsi agli uomini, lo fa attraverso una sollecitazione interiore: il cielo fece pressione, dicono i testi. Altre volte si serve, come intermediario, del principe che la rappresenta sulla terra. […]. Eppure, sappiamo di frequenti interventi di inviati di Dio. Come ho già detto – scrive Jean Paul Roux – è difficile stabilire se si tratti di personaggi autonomi o di epifanie divine. Certo, l’inviato ha una forma speciale, è concepito come un essere particolare di cui si conserva il ricordo e che non si può mai identificare con il grande Dio”. [11]

Gli esseri intermediari si distinguono in tre gruppi: gli inviati di Dio o del Cielo o manifestazioni visibili alla potenza celeste; gli esseri intermediari invisibili, liberi da qualsiasi vincolo (ausiliari o avversari dello sciamano); gli esseri che sono insediati in un oggetto (idoli, penati, bandiere che animano un luogo).

Nella mentalità altaica tutto è anima, tutto è energia. “Là dove noi vediamo esserei ben delineati, sotto il profilo fisico e psicologico, l’Altaico, come molti «primitivi» (pur essendo ad uno stato superiore di civiltà), concepisce delle forze o un’energia cosmica dalle mutevoli e infinite manifestazioni”. [12]

In India l’universo è concepito come una gerarchia di ordini di esistenza. Si parla di mondi (loka) tra loro comunicanti.

“Di conseguenza – scrive in proposito Jean Varenne – il destino dell’individuo viene paragonato ad una sorta di cursus honorum di superamento progressivo di molti gradini della scala cosmica, beninteso con la possibilità di tornare o di saltare in avanti”. [13]

Nella concezione indiana un essere esistente in sé, il Brahaman (neutro) si manifesta nel principio cosmico di un ciclo sotto forma di demiurgo: Brahma (maschile), il quale chiama in vita Manu, il quale dà inizio alla creazione.

“Forme illusorie della maya divina o creature di parajapati, i geni e i demoni – scrive Jean Varenne – hanno pur sempre il loro posto nell’universo, con una funzione ben precisa da svolgere. Si tratta della funzione di ausiliari, ed è in questo senso che spesso vengono classificati come esseri «secondari».

Il Rig Veda canta i Marut, geni dei boschi, delle acque, dei fiumi e via discorrendo. I Gandharva sono musici celesti, le Aspara sono ninfe, gli Aksha sono alberi, i naga draghi o serpenti dal volto umano. Gli Asura sono forze vitali. “Nessun aspetto della natura – commenta Jean Varenne – è esente da influenze invisibili, misteriose, appartenenti all’altro mondo (o meglio, agli altri mondi)”. [14]

Di notevole interesse la cultura di Harran. “Gli Harraniani – scrive Gerard Russel – concordavano con quei filosofi greci che credevano nell’esistenza di un Dio supremo, il quale è la causa ultima della nascita dell’universo ma trascende ogni possibilità di comprensione da parte dell’intelletto umano. Poiché Dio era letteralmente indescrivibile, i comuni mortali potevano al massimo ambire a vedere e riverire le sue proiezioni nell’universo materiale” e poteva darsi “una discesa dell’essenza di Dio” in un essere umano, “ovvero la discesa di una porzione della sua essenza, che ha luogo conformemente al grado di preparazione della persona stessa, cosicché quando l’essenza discende nella sua forma più piena, può trasformare la persona in una sorta di proiezione di Dio sulla terra. [15]

“Gli Harraniani – afferma Rerard Russel – credevano nella reincarnazione, il ché implica che queste proiezioni divine potevano morire e rinascere, ritornando sulla terra in epoche successive”. [16]

La tradizione, come si può ben vedere, ci consegna una risposta positiva alla nostra domanda sulla possibile esistenza di esseri di luce.

 

[1] Dimitri Meeks, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[2] Massimo Barbetta, La porta degli Dèi, Uno edizioni

[3] Massimo Barbetta, La porta degli Dèi, Uno edizioni

[4] Massimo Barbetta, La porta degli Dèi, Uno edizioni

[5] Angeli e demoni in Israele di André Caquot, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[6] Vedi Angeli e demoni in Israele di André Caquot, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[7] Angeli e demoni in Israele di André Caquot, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[8] Angeli e demoni in Israele di André Caquot, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[9] Jean Paul Roux, Gli esseri intermediari presso i popoli altaici, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[10] Jean Paul Roux, Gli esseri intermediari presso i popoli altaici, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[11] Jean Paul Roux, Gli esseri intermediari presso i popoli altaici, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[12] Jean Paul Roux, Gli esseri intermediari presso i popoli altaici, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[13] Jean Varenne, Angeli, Demoni e Geni in India in in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[14] Jean Varenne, Angeli, Demoni e Geni in India in in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Mediterranee.

[15] Vedi Gerard Russel, Regni dimenticati, Adelphi

[16] Vedi Gerard Russel, Regni dimenticati, Adelphi

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