CORPO DI LUCE (4)

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CORPO DI LUCE (4)

Quarta parte dell’intervento di Silvano Danesi al convegno: “Il corpo di luce”.

Nella terza parte di questa riflessione la metafisica della luce ci ha condotti a considerare la luce, ossia il campo elettromagnetico, come campo di forma e come componente strutturale essenziale di ogni essere fisico.

Passiamo ora a considerare un altro punto di vista: quello degli alchimisti.

 La tradizione ci parla di “portatori di luce essenziale” attirati dalla Magnesia nel corpo mortale.

Nel linguaggio ermetico degli alchimisti, dediti all’Opera, la rugiada celeste, ros, è l’anima, la vita metallica che dà vita ai corpi; è quella “magnesia”, “calamita filosofica” che ha la virtù attrattiva e che oggi potremmo definire luce come campo elettromagnetico che attrae e forma la materia corporea.

Che esista una stretta relazione tra il campo elettromagnetico e la vita materiale corporea è affermato da H.S.Burr e F.S.C. Northrop, della Yale University, i quali, in un lavoro del 1939, scrivono che la fisica delle particelle pone attenzione ai costituenti delle particelle, mentre la fisica dei campi centra le teorie e la sperimentazione sul mezzo nel quale il sistema nel suo complesso è incorporato e sulla sua struttura. Poiché il problema fondamentale della biologia è l’organizzazione, sembrerebbe che la fisica dei campi sia la più appropriata per la ricerca.

Sulla scorta di queste condierazioni, i due scienziati hanno proposto la “teoria elettrodinamica della vita”, in base alla quale “il modello o l’organizzazione di un sistema biologico è stabilita da un campo elettrodinamico complesso, che è in parte determinato dalle sue componenti fisico chimiche atomiche e che in parte determina il comportamento e l’orientamento di tali componenti”.

Fulcanelli ci induce ad andare oltre, pensando al campo elettromagnetico come “calamita filosofica” o anima metallica che dà vita ai corpi.

Siamo grumi di informazione cosciente e terremoti di una realtà abissale (eventi), bagnati da una rugiada celeste: avatar di noi stessi nel mondo della materia; phosphoroi (Φωσφόροι), portatori di luce essenziale (informazione), attratti dalla magnesia nel crogiolo della vita, ossia nel crucibulum, il cui geroglifico alchemico è la croce[1].

San Cristoforo, che porta Cristo ‘Χριστός’, oppure che porta oro Χρυσός è simbolicamente il corpo che porta la luce.

Oro, infatti, dal latino aurum e dall’antico greco ayròs, deriva dalla radice sanscrita hari, dal significato di raggio di luce (hirana=oro).

L’Occulta Fontana e la Roccia

 La “magnesia” sorge dall’Occulta Fontana (Libethra) accanto alla quale c’è un’altra sorgente chiamata La Roccia.

“Ambedue – scrive Fulcanelli – scaturivano da una grossa roccia la cui forma assomigliava ad un seno di donna; di modo che l’acqua sembrava colare da due mammelle come se fosse latte. Ora, noi sappiamo che gli antichi autori chiamavano la materia dell’Opera la nostra Magnesia e che il liquore estratto da questa magnesia è chiamato Latte della Vergine”.[2]

Procediamo per gradi, utilizzando il metodo suggerito da Fulcanelli, ossia quello da cui origina l’argot, la lingua dei costruttori di cattedrali, non a caso dette gotiche.

“Per noi – spiega Fulcanelli – art gotique non è altro che una deformazione ortografica della parola argotique, la cui omofonia è perfetta, conformemente alla legge fonetica che regola la cabala fonetica in tutte le lingue e senza tener conto alcuno dell’ortografia. La cattedrale, quindi, è un capolavoro d’art goth o d’argot. Dunque i dizionari definiscono la parola argot come «il linguaggio particolare di tutti quegli individui che sono interessati a scambiarsi le proprie opinioni senza essere capiti dagli altri che stanno intorno». E’, quindi, una vera e propria cabala parlata. […]. Tutti gl’Iniziati si esprimevano in argot, anche i vagabondi della Corte dei Miracoli, col poeta Villon alla loro testa, ed anche i Frimasons, o framassoni del medioevo, «che costruivano la casa di Dio», ed edificavano i capolavori argotiques ancora oggi ammirati”.[3] L’arte gotica, aggiunge Fulcanelli, “è l’art got o cot (Χ°), l’arte della Luce e dello Spirito”. L’argot, aggiunge Fulcanelli “è una delle forme derivanti dalla Lingua degli Uccelli, madre e signora di tutte le altre, lingua dei filosofi e dei diplomatici”.[4]

Un secondo riferimento metodologico riguarda i miti, i quali sono tra di loro complementari e collegati (Lévi-Strauss).

Terzo riferimento metodologico è l’aspetto paradossale e polisemico dei simboli e dei miti, con gli opposti che si scambiano e cospirano (cospiratio oppositorum).

Le due fonti, così come indicano i loro nomi, sono due aspetti di un’unica realtà, così come lo stesso latte può sgorgare da due mammelle, distinto ma non separato. Libethra è città collocata da Pausania sul Monte Olimpo a poca distanza dalla tomba di Orfeo. Questo richiamo a Orfeo ci riporta all’Orfismo, religione misterica e a quanto abbiamo scritto nella prima parte a proposito delle laminette orfiche e alla doppia natura, luminosa e gravitazionale, dell’essere umano.

Una mammella è olimpica e l’altra è terrestre, ma sono ambedue espressioni dello stesso seno, di una stessa origine.

Il latte della Vergine

Se poniamo attenzione al Latte della Vergine e alle due mammelle che rappresentano le due fontane, possiamo identificare un possibile messaggio scientifico sottostante, che oggi ci appare chiaro alla luce della teoria di Einstein E= mc2.

E’ stato sperimentalmente accertato che la massa si trasforma in energia.

La trasformazione contraria ha avuto recentemente dimostrazione sperimentale certa.

Grazie al regime energetico raggiunto dall’acceleratore Rhic negli Usa e al rivelatore Star installato in esso, i fisici sono riusciti a verificare sperimentalmente due fenomeni predetti dalla fisica teorica già negli anni ’30: la produzione di elettroni e positroni dallo scontro di fasci di fotoni e la deflessione della luce polarizzata in un campo magnetico nel vuoto, un fenomeno noto come birifrangenza.

Alla domanda se è possibile produrre materia e antimateria a partire dai fotoni, i fisici teorici, già da 80 anni, hanno detto di si. Ora, finalmente, lo possono dire anche i loro colleghi sperimentali: al Relativistic Heavy Ion Collider o Collisore di Ioni Pesanti Relativistico, a Brookhaven National Laboratory, negli Stati uniti – sono state analizzate più di 6mila coppie di elettroni e positroni creati direttamente dalla collisione fra fotoni molto energetici.

I risultati sono pubblicati su Physical Review Letters.

 L’idea di far collidere fasci di fotoni fra loro è nata nel 1934 e fu descritta da due fisici: Gregory Breit e John A.Wheeler.

L’esperimento proposto nei lontani anni ’30 è stato recentemente attuato al Rhic: gli ioni d’oro sono stati accelerati fino al 99,995 per cento della velocità della luce in due anelli acceleratori. Facendo scontrare due nuvole di fotoni che si muovono in senso opposto – senza far scontrare gli ioni che le generano – le particelle di luce possono interagire fra loro, producendo coppie di elettroni e positroni (anti-elettroni, appunto). La misura della distribuzione angolare e di massa condotta con il Solenoid Tracker al Rhic (Star) – un rivelatore in grado di misurare la distribuzione angolare delle particelle prodotte in collisioni di ioni d’oro che si muovono quasi alla velocità della luce – ha confermato che le coppie di materia-antimateria erano generate proprio da fotoni reali.

Il latte della Vergine è l’energia nelle sue determinazioni fermioniche e bosoniche.

La magnesia dei filosofi

 Cosa significa magnesia? La Magnesia dei filosofi è definita calamita, dal greco airen, ciò che attira, dal verbo airo: prendere, cogliere, trascinare, attirare. Il ferro è aran o iran, termine assonante, secondo la cabala fonetica con airen. Inoltre il ferro o la calamita sono anche espressi dal vocabolo sideros, che esprime anche gli spazi siderali e le stelle.

Siamo figli delle stelle, come dicono le laminette orfiche e degli spazi siderali, attratti alla vita dalla magnesia, ossia da una calamita, da un metallo magnetico, che nel linguaggio argoatico ha il significato di campo elettromagnetico.

Il vocabolo metallo, infatti, deriva dal greco metallon, miniera, ma anche, secondo alcuni, da meta (infra, in mezzo) e allon dalla radice *al (sanscrito *ar) dal significato di andare, muovere (verbo alomai = vado errando o elaô = metto in movimento).

Il metallo, adatto ad essere forgiato, è qualcosa che viene dal profondo, estratto dalle oscurità della miniera, che possiamo simbolicamente assimilare all’Arché o Inconscio profondo ed è un infra-movimento, un movimento intermedio: luce che condurrà alla materia.

Il vocabolo greco φῶς (phaos/phōs), la cui radice corrisponde a quella del verbo phainō, che significa “mostrare”, “rendere manifesto” (phainesthai), è anche in origine non solo la luce come mezzo per vedere, ma anche la luce che emana la verità raggiunta tramite la conoscenza.

Phōs, la luce della verità (aletheia), ossia l’informazione cosciente istantanea che si svela alla conoscenza, si volge verso i mondi, si mostra, si rende manifesta come luce fotonica, dove fotone deriva anch’esso da ϕῶς.

Ed ecco che calamita, metallo, stella, spazi siderali, ci portano ad un’unica conclusione: luce stellare, ossia campo elettromagnetico che agisce nel campo spazio-temporale o gravitazionale.

Magnesia, metallo, sideros, sono le parole con le quali si esprime il concetto di una luce fotonica che condurrà alla materia, secondo quella che ormai è la teorizzata trasformazione di energia in materia in base alla formula di Einstein E=mc2 e m = E/c2.

 L’anima tessuto o tela di luce

L’anima, si pone come un “«tessuto di poteri» intermedi fra quelli del corpo e dello spirito” [5], un campo elettromagnetico che il mito di Arianna e del Minotauro ci consegna nella chiave criptata dell’argot.

Fulcanelli, a proposito del significato del mito di Arianna, utilizzando la Lingua degli Uccelli, sostiene che Arianna è una forma di araigne (ragno) per metatesi della i.

“In spagnolo – scrive Fulcanelli -, la ñ si pronuncia gn,  ἀράχνη (araignée, araigne) si può dunque leggere arahné, arahni, arahgne). Ma questa parola richiede altre derivazioni: il verbo αἴρω significa prendere, cogliere, trascinare, attirare; da esso deriva αἴρην, ciò che prende, attira, coglie. Quindi αἴρην è la calamita, la virtù rinchiusa in quel corpo chiamato dai saggi: nostra magnesia”. [6]

Nel complesso di quanto ci viene detto, il ragno, ossia Arianna, tesse la sua ragnatela labirintica, con il filo (del ragno) che è di metallo attirante, ossia in grado di trattenere e di formare, fissando la luce (campo elettromagnetico) nel corpo (campo gravitazionale o spazio-tempo), ossia annodando la vibrazione. I testi egizi ci consegnano un rito della vestizione del Neter con un tessuto (tessitura, tessere).

La tessitura veste l’invisibile

L’azione della tessitura (tayt), secondo il principio egizio che ci riporta all’analogia del verbo, del sostantivo e dell’aggettivo, è anche il tessuto.

Il Neter femminile Renenunet offre una bandella (striscia di tessuto), essendo essa stessa la bandella, al Neter Amon, Mn (nascosto) la cui parte femminile e manifestante è Amonet.

Renenunet rivolge ad Amon le seguenti parole: “Parole dette da (Ren n) unet, Signora di … Tu ricevi questa tua bella (bendella), tu, ricevi questo tuo tessuto mâr, tu ricevi questo tuo tessuto menkhebet. Tu appartieni a lei, tu sei perfetto in lei, in questo suo nome dei quattro tessuti-menkhebet. Essa si unisce a te in questo suo nome di stoffa-idmi”.

Amon appare ad Amonet, il suo aspetto femminile; è compiuto in lei ed è unito a lei.

La vestizione con una tessitura-tessuto è un rivestire l’invisibile (il nascosto) rendendolo visibile; è un legare l’imponderabile a una materia ponderabile: uno spirito ad un corpo.

In termini generali possiamo dire, usando una metafora, che l’incorporazione è un vestire lo spirito di pelle; è il tessere attorno allo spirito un corpo.

Nei Testi delle Piramidi è scritto:

“Ti ho vestito con l’occhio di Horo, questa Renenunet.

Ti ho portato l’occhio di Horo che è in Tayt, questa Renenunet”.

Nel testo si afferma che l’occhio di Horo è nella tessitura. Un’affermazione che ha un’implicazione sorprendente alla luce delle attuali scoperte scientifiche.

L’Occhio di Horo, vero scrigno scientifico, ha, tra i suoi molteplici significati, anche quello che ci riporta al Dna, in quanto lo schema dell’occhio è un insieme di frazioni che riguardano un intero, formato da 64/64.

L’anima tesse il corpo

Fulcanelli scrive: “La nostra anima non è forse il ragno che tesse il nostro corpo?”[7] L’essere umano non è, pertanto, concepibile come un reticolo di poteri dell’anima che si serve del corpo come sostegno?

Il concetto di tessitura lo ritroviamo rappresentato nel canestro egizio, che è il campo elettromagnetico (anima) del corpo umano.

Cesto, cesta in egizio antico è: mndjm e il geroglifico corrispondente è associato alle lettere K o X.

Nella cesta (vedi figura a lato) i simboli della vita corporale (a sinistra) e animica (a destra).

Nella cesta di destra non c’è il pilastro della stabilità, colonna vertebrale di Osiride, presente nella cesta di sinistra.

L’Ank, come nodo della vita, nella cesta di destra rappresenta l’anima come campo elettromagnetico non legato alla corporeità.

La stabilità rappresentata dalla colonna vertebrale di Osiride o pilastro jed, è quella permanenza dinamica della corporeità che oggi potremmo definire omeostasi, ossia neghentropia, capace di far permanere l’evento.

Nella cesta di sinistra il pilastro della stabilità è in mezzo all’anima (Ank) e al bastone Uas.

Il bastone Uas aveva un significato feticistico di origine sciamanica africana e serviva come connessione per veicolare alla madre terra le energie provenienti dal cielo ed in senso più generico apportava potenza e fortuna.

Questo scettro era usato dalle divinità maschili spesso unito all’ankh, simbolo di vita, e al pilastro djed indicante stabilità, come mostra sovente l’iconografia di Osiride e di Ptah.

Recenti studi hanno identificato nell’Uas il compasso del dio poiché risulta essere un dispositivo per poter tracciare lo shen, ossia due cerchi concentrici e se ne ipotizza il suo utilizzo nel campo delle costruzioni.

Lo shen (altresì conosciuto come šnw, sheneu o shenu) è uno dei simboli egizi più antichi. Gli Egizi vi identificarono il cerchio che circonda e definisce tutto ciò che esiste, ossia l’universo regolato da Maat.

Lo possiamo anche considerare come un nodo, un annodamento, così come un nodo può essere considerato anche l’Ank. Un altro nodo è il tjt, il nodo di Iside, punto di convergenza tra l’umano e il divino.

Nodi che annodano l’invisibile.

 La luce agente principale del vivente

Nuovi orizzonti scientifici ci indicano che la luce, ossia quell’insieme di fotoni che soggiace alle leggi della meccanica quantistica, è l’agente principale del vivente. Non è una novità, ma oggi è detta in modo nuovo e sulla base di leggi scientifiche.

Gli enzimi, “sono responsabili della digestione, della respirazione, della fotosintesi e del metabolismo”; sono, in buona sostanza, “responsabili per la costruzione stessa del nostro corpo e ci mantengono vivi”.[8] Ebbene, gli enzimi, catalizzatori della vita, soggiacciono alle leggi della meccanica quantistica e all’effetto tunnel.

E la luce? Per fare un solo esempio, la luce favorisce il lavoro dell’enzima respiratorio: un lampo di luce molto breve, ma intenso, consente la respirazione cellulare. Luce protagonista della vita.

La dualità onda-particella “è coinvolta nella reazione biochimica più importante della biosfera: la conversione di aria, acqua e luce in piante, microbi e, indirettamente in tutti noi”. [9]

Senza la fotosintesi clorofilliana, che funziona grazie alla luce, non potremmo abitare questo pianeta. Le piante, infatti, producono costantemente l’ossigeno con il quale noi respiriamo.

Ebbene, la fotosintesi clorofilliana avviene seguendo regole della meccanica quantistica. Infatti, i tilacoidi, che sono le macchine della fotosintesi, quando sono alimentati dai fotoni riescono a legare tra loro gli atomi di carbonio (assorbiti dall’anidride carbonica dell’aria) per costruire le fibre delle piante e le polpe dei loro frutti. Ecco di nuovo la luce protagonista della vita.

Tuttavia, nessuno scienziato ha fino ad ora prodotto dall’inerte materia un enzima o un tilacoide.

Il mistero rimane, ma la meccanica quantistica ci fa fare passi in avanti nella comprensione, mettendo al proprio posto i meccanicisti, così come fecero i meccanicisti con i vitalisti.

“La vita – scrivono due scienziati come Jim Al-Khalili e Johnjoe McFadden – sembra avere un piede nel mondo classico degli oggetti quotidiani e l’altro piantato nel profondo del bizzarro mondo quantistico”.[10]

I sistemi viventi sono caldi, umidi e complessi e ogni processo complesso può sembrare strutturato e ordinato ma è di fatto guidato dal moto casuale delle molecole e gli ambienti a livello molecolare sono in gran parte turbolenti e, tuttavia, un sistema vivente ha bisogno di ordine che, a livello della fisica classica, è descritto come omeostasi; ma affinché questo ordine funzioni è necessario che intervenga la legge dei grandi numeri. Infatti, tutto ciò che deve il suo comportamento ordinato alle leggi classiche deve essere composto da moltissime particelle.

Non è così per il vivente a livelli minimali (enzimi, ad esempio) per il quale vige un ordine dato dal principio di coerenza quantistica.

L’ordine, dunque, deriva dall’ordine (Schrödinger) e quando il principio di coerenza viene meno si ricade nella fisica classica, ossia in un disordine termodinamico che deve continuamente essere ordinato da agenti di un ordine sottostante.

La meccanica quantistica, pertanto, ha chiuso la fase meccanicistica, consegnandoci nuovi orizzonti di conoscenza della vita.

Tutte le cellule viventi di piante, animali ed esseri umani emettono biofotoni.

Questa emissione spontanea di luce quantistica è essenzialmente causata dalla rottura e ricomposizione metabolica di legami molecolari e di conseguenza la emissione di biofotoni può essere considerata come espressione dello stato funzionale dell’organismo vivente.

Nel 1976 il biofisico Fritz-Albert Popp ha dimostrato che il DNA emette spontaneamente biofotoni durante le operazioni di apertura e chiusura delle sezioni del DNA, che ne permettono la espressione genetica. L’importanza della scoperta è stata confermata dagli scienziati eminenti come Herbert Froehlich e premio Nobel Ilya Prigogine, ma successivamente la accademia scientifica ha ostacolato il proseguimento degli studi di Popp, proprio in quanto il considerare il DNA come un’antenna di emissione e ricezione di biofotoni, avrebbe condotto verso un netto superamento delle concezioni meccaniche e quanto-meccaniche precedentemente acquisite.
Secondo la teoria biofotonica sviluppata da Popp si ritiene che sulla base della attività di informazione del DNA si auto-organizzi una rete biofotonica coerente ed interattiva, correlata in particolare agli organelli cellulari (mitocondri), capace nell’ insieme di regolazione a distanza delle principali attività di tutti i processi vitali di morfogenesi, crescita, differenziazione e rigenerazione cellulare.

Inoltre secondo il neurofisiologo Karl Pribram, il campo biofotonico del cervello e più in generale del sistema nervoso, potrebbe essere concepito come interfaccia transdisciplinare capace di integrare aree di conoscenza non fisiche relative alle attività della mente, quali il pensiero, la psiche e la evoluzione della coscienza.

L’esistenza del “biocampo quantistico” sfida ogni approccio riduttivo della scienza biologica per dare sviluppo ad una comprensione integrata dell’universo vivente. Il termine “Quantum biofield” descrive “un campo dinamico di “energia di informazione”, il quale regola la funzione di comunicazione biofotonica negli organismi viventi, svolgendo un ruolo sostanziale nella evoluzione dei percorsi metabolici e neurologici, propri della costruzione /distruzione continua della vita biologica di ciascuna specie.

E’ l’ultima spiaggia alla quale approdare? Sicuramente no.

In “Alice nel paese delle meraviglie” lo Stregatto dice. “Ho visto spesso un gatto senza sorriso, ma mai un sorriso senza gatto”.

Per ora, il mistero della vita rimane un sorriso senza gatto, ma se sappiamo navigare oltre ogni porto, oltre ogni provvisoria teoria, oltre ogni teologia, oltre ogni mistica illusione, forse, questo sorriso diverrà meno enigmatico.

(segue)

 

[1] Vedi Fulcanelli, Il mistero della cattedrali, Mediterranee.

[2] Fulcanelli, Il mistero della cattedrali, Mediterranee

[3] Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, Mediterranee

[4] Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, Mediterranee

[5] Patrik Conty, Labirinti, Piemme

[6] Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, Mediterranee

[7] Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, Mediterranee

[8] Jim Al-Khalili – Johnjoe McFadden, La fisica della vita – La nuova scienza della biologia quantistica, Bollati Boringhieri

[9] Jim Al-Khalili – Johnjoe McFadden, La fisica della vita – La nuova scienza della biologia quantistica, Bollati Boringhieri

[10] Jim Al-Khalili – Johnjoe McFadden, La fisica della vita – La nuova scienza della biologia quantistica, Bollati Boringhieri

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