In questa prova che l’umanità sta affrontando con la pandemia, la mascherina è assurta a simbolo e, come tutti i simboli, anche quello della mascherina è polisemico e rinvia all’oltre di ogni significato ad esso attribuibile.
Fatta questa necessaria premessa possiamo addentrarci nella foresta dei possibili significati della mascherina, il primo dei quali è il confine.
La mascherina, infatti, è assurta allo status di simbolo a causa del confinamento coatto voluto dai governi (non tutti e non tutti nello stesso modo) per evitare il diffondersi del virus pandemico ed è divenuta simbolo di confine (tra un essere umano ed un altro), di isolamento, di coazione e, a ben guardare, di perdita di identità.
La mascherina ci isola dagli altri, ci ricorda in ogni momento che viviamo in una situazione di coazione delle libertà e ci impedisce di comunicare guardandoci, per andare oltre le parole.
“L’unità di base della mente – afferma Antonio Damasio – è l’immagine, l’immagine di una cosa o di ciò che essa fa, o di ciò che vi fa sentire; o l’immagine di ciò che voi pensate della cosa; o le immagini delle parole che traducono quanto sopra”.[1]
“L’Homo sapiens – sostiene Edward O. Wilson – è l’unica specie superstite dotata di intelligenza simbolica”.[2] Non solo, ma “gli esseri umani – come scrive Bessel Van Der Kolk – sono creature che creano significati”. [3]
E’ del tutto evidente che, essendo l’essere umano dotato di intelligenza simbolica e capace di creare significati, il simbolo della mascherina, emergente con una forza proporzionale alla pandemia e alle misure coattive, non può che avere un impatto fortissimo sulla psiche, sui comportamenti e non può che lasciare tracce durature.
Non solo. Il simbolo crea un mondo interiore diverso da quello precedente, quando esso non era presente e agito.
“Investite dall’azione – scrive Umberto Galimberti – le cose assumono un significato, la cui interiorizzazione costituisce quella che chiamiamo soggettività. […]. L’azione che ha successo retroagisce sul soggetto creando quel «mondo interiore» che chiamiamo «psiche», per cui l’azione non si limita a creare le condizioni esterne dell’esistenza, ma anche quelle interne di previsione e di scelta di azioni future”. [4]
La mascherina, fino a pochi mesi fa oggetto di protezione professionale senza una particolare attivazione simbolica, ora, assumendo un significato simbolico generale, di protezione, ma anche di distanza, di confinamento, di esclusione e di timore, retroagisce sulla psiche e sulla nostra soggettività, con effetti importanti, sia per il fatto che l’esperienza cambia la coscienza, sia per il fatto che cambia strutturalmente il nostro cervello.
“Sappiamo – sostiene in merito Edoardo Boncinelli – che nuove esperienze e nuovi apprendimenti cambiano necessariamente la connessione di alcune sinapsi. […] L’opinione corrente fra la maggior parte dei neurologi è che quello che io sono in questo momento, con le mie inclinazioni, le mie idiosincrasie, i miei ricordi e le mie aspirazioni, coincide con l’architettura complessiva delle mie sinapsi”. [5]
La mascherina, intesa ovviamente come simbolo di una tragedia pandemica e, al contempo, di una sperimentazione massiva di condizionamento sociale a fini di controllo delle libertà individuali e collettive, cambia pertanto la nostra psiche, la nostra percezione della realtà, la nostra coscienza e modifica strutturalmente il nostro cervello.
A questo punto siamo arrivati ad un bivio tra empatia, cosiddetta “filtrata” e empatia “cognitiva”.
“L’empatia – sostiene Dylan Evans – non è di per sé buona o cattiva; dipende da come la si impiega” e, citando Fritz Breitaupt, germanista e ricercatore di scienze cognitive, introduce il concetto di «empatia filtrata» come “quella che ci permette di sentirci parte del gruppo dei buoni”. Abbiamo così “un’empatia emotiva, cioè la capacità di provare ciò che sentono gli altri e di condividerne le emozioni, di essere felici della loro gioia e tristi per le loro disgrazie” e “un’empatia cognitiva”, che “permette di capire gli stati d’animo degli altri, di conoscere pensieri, desideri, intenzioni e credenze”. [6]
“Gli psicopatici manipolatori – ci avverte Dylan Evans – hanno un’empatia cognitiva”. [7]
Ed eccoci al bivio. Da una parte gli empatici “cognitivi” e dall’altro gli empatici “filtrati”.
Gli empatici “cognitivi” manipolatori sono coloro i quali, con il supporto dei mezzi di comunicazione di massa, con i Big Data e l’intelligenza artificiale, della quale possiedono le sorgenti algoritmiche, stanno tentando di attuare un orwelliano ordine mondiale dalle caratteristiche totalitarie, già ampiamente sperimentato nella Cina nazicomunista.
Gli empatici “filtrati” sono le cavie dell’esperimento.
Cosa sta producendo la sperimentazione del confinamento di massa?
Tutto ciò che è stato detto supra in merito al simbolo della mascherina, ma anche fenomeni di altro genere.
Il confinamento ha fatto riscoprire il valore della famiglia e del rapporto genitori figli.
La necessità di combattere il virus ha fatto riscoprire il senso di solidarietà tra le persone.
La chiusura dei confini nazionali ha riproposto alla luce del sole gli Stati nazionali, con le loro caratteristiche e si torna a parlare di Patria, di Italiani uniti, di Spagnoli uniti, e via discorrendo.
La totale mancanza di solidarietà europea ha messo a nudo l’inesistenza di un’Europa dei popoli e ha reso palese la sua essenza di apparato burocratico prono alla finanza internazionale.
Sta venendo meno l’oikofobia, che era diventata una malattia cronica dei popoli europei e si stanno scoprendo valori identitari.
Tutto questo va in senso contrario alla globalizzazione, al pensiero unico, al politicamente corretto.
La mascherina è diventata simbolo del fallimento della delocalizzazione delle produzioni e delle tecnologie nella Cina nazicomunista. Travolto dal virus cinese, l’Occidente ha dovuto chiedere le mascherine ai Cinesi, perché nei paesi occidentali nessuno più le produceva e improvvisamente si sono dovute convertire aziende per produrle in proprio.
La mascherina ha messo allo scoperto la dipendenza creata dalla delocalizzazione e dal mercatismo mondiale.
La mascherina ha inoltre concesso per un breve periodo alla Cina di manipolare il consenso, presentandosi, dopo aver infettato il mondo con la propria censura sulla presenza del virus, come la benefattrice dell’Occidente in difficoltà, ma la mascherina ha “smascherato” il Dragone, evidenziandone le fauci feroci, pronte a divorare le economie mondiali e a imporre un sistema totalitario.
La mascherina sta “smascherando” coloro che sono collusi con il sistema cinese e con il mercato degli schiavi ad esso sotteso.
E così la mascherina “smaschera”.
Tolte le mascherine niente sarà più come prima, perché il re è nudo.
Il mondialismo mercatista della finanza internazionale dai manipolatori dell’empatia “cognitiva”, ossia gli eredi del Filantropo di Soloviev, è “smascherato”.
© Silvano Danesi
[1] Antonio Damasio, Lo strano ordine delle cose, Adelphi
[2] Edward O. Wilson – Le origini della creatività, Cortina
[3] Besse Van Der Kolk, Il corpo accusa il colpo, Cortina
[4] Umberto Galimberti, Psiche e tecne, Feltrinelli
[5] Edoardo Boncinelli, La vita della nostra mente, Laterza
[6] Dylan Evans, Emozioni, Oxford university press
[7] Dylan Evans, Emozioni, Oxford university press
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