Tout se tient. Quando l’amico Umberto mi invitò a salire sul “Vascello del Sé” per un convegno che si occupava dei pirati, ho accettato con curiosità ed entusiasmo, perché lui, appassionato di ricerche sull’argomento, mi aveva spiegato la fondamentale differenza tra la pirateria storica del ‘700 e il fenomeno dei corsari. I primi, come Robin Hood, fuggiaschi in fuga da un leviatano opprimente, alla ricerca di spazi di libertà e di democrazia e i secondi contractor (il termine è attuale) al servizio di Sua Maestà.
Umberto mi ha poi invitato a salire su un altro vascello della flotta del Sé, il Nabucodonosor del capitano Morfeo, reso famoso dal film Matrix, ormai cult ventennale, per un nuovo convegno di riflessione dal titolo: “Dentro la Matrix, oltre la Matrix”, che affronta un tema dai risvolti iniziatici e tradizionali, che oggi ha un impatto esistenziale per la libertà e la democrazia, in considerazione della tracotanza del Cybersistema, che si impone come una Matrix disumana e disumanizzante.
Nel Cybersea i corsari sono hacker al servizio di questo o di quel potere privato a statuale; i pirati, al contrario, sono i costruttori di isole di condivisione dei saperi e dei calcoli, repubbliche marinare, Fratelli della Cybercosta.
Sul tema mi sono esercitato con un articolo postato sul sito www.laboratoriocasadellavita.it (http://www.laboratoriocasadellavita.it/2019/04/22/dalla-matrix-alla-coscienza-del-se/).
L’utero universale e l’utero della donna
L’articolo, che riprendo in parte, si occupava del processo emanativo e creativo, così come ci viene proposta da Franco Rendich[1].
Ka (essere-non essere infinito) è “Acque lucenti” o “Acque cosmiche”, chiamate “madri” che “si rivelano come la vera e unica causa efficiente dell’Universo”. [2] La Grande Madre è qui presente come Na e come Ka
“Se consideriamo il fonema Na come il simbolo delle Acque indifferenziate – scrive infatti in proposito Franco Rendich – possiamo dedurre che fu da esso che nacque il concetto di negazione, Na, e di conseguenza quello di Nulla (…) a causa dell’impossibilità di riconoscere al loro interno alcun ente (non ente, niente) o alcun uno (non-uno, nessuno). Soltanto con un secondo tempo, con l’apparizione della luce nelle acque [ka], il pensiero indoeuropeo avrebbe riconosciuto al loro interno il primo Essere, Eka, l’Uno: «luce [Ka] che sorge [e] dalle Acque»”. […]. La relazione tra le Acque cosmiche, l’Uno e il Nulla, appare ora chiara. Il Nulla, Na…, rappresenta le Acque viste nel loro aspetto imperscrutabile, mentre l’Uno, Eka, rappresenta le stesse Acque viste nel momento del sorgere della Luce al loro interno. Luce «creatrice», in quanto rende visibile e riconoscibile l’intero universo”. [3]
Da Ka deriva Eka (e+ka è il sorgere della luce), che dà origine a Da, luce creata.
Abbiamo, pertanto, una luce creatrice Ka, che sorge dalle Acque cosmiche Na, il Nulla, come Eka, moto di Ka e origina Da, luce creata.
Kam, derivante da Ka, infinito, e da M, limite, simbolo della realtà relativa e finita, è il frutto d’Amore.
“La consonante M – spiega Franco Rendich – è all’origine di mātŗ «madre», il fattore femminile della creazione che conduce la divina immobilità di Eka ad incarnarsi nella terrena transitorietà di dvi, il «due». In altre parole Kāma, «amore», rivela l’unione tra l’Infinito [Ka] e il Finito [M], nell’attimo in cui nasce il loro comune desiderio di creare la vita nell’Universo”. [4]
Il processo emanativo e creativo proposto dall’indoeuropeo prende origine da un caos tenebroso, da un Nulla, descritto come Acque indifferenziate, che contiene in sé la propria parte luminosa (il nero luminoso, il mare in amore), la quale si rende esplicita come movimento, dando vita alla luce creata, ossia ad una luce derivata, la quale, a sua volta, si materializza nel limite.
Il processo, in sintesi è: il Nulla [Na – Tenebra – zero], contiene l’altra parte di sé, l’Uno [Ka, luce creatrice], il quale dinamizzandosi nella luce creata [Da] si realizza, per impulso d’amore [Kāma], nel molteplice materiale.
L’universo è il frutto del porsi della Grande Madre come utero (matrix) universale.
In sanscrito materia è mātra e misura è mātrā. Matrix è l’utero e mater è madre.
Come gli esseri umano arrivano al mondo? Attraverso l’utero delle donne, la matrix, la madre.
Così come il mondo è il frutto della grande Matrix, la Madre Universale, il Vas venerabilis, l’essere umano è il frutto della madre umana.
L’impulso che determina la volontà dell’Arché a manifestarsi nella Physis e in Zoé è condiviso dal Sé (il seme esistenziale umano) che lo induce ad entrare nell’utero materno, nella matrix, per incarnarsi nel limite.
Il processo emanativo creativo che riguarda l’universo trova somiglianza in quello emanativo creativo che riguarda l’essere umano, il quale in effetti è macrocosmo in relazione con il microcosmo.
Materia, misura e madre sono parole, come ci ricorda Franco Rendich, “che derivano dalla radice verbale mā «determinare [ā] il limite [m]», «misurare»”. [5]
La matrix rende possibile il misurare, un’azione che appartiene allo stare nello spazio-tempo e che appartiene, parimenti, all’essere umano quando attraverso la matrix-utero è entrato nel mondo delle misure, essendo dotato di mente (radice indoeuropea man o mnā, con il significato di pensare o di ricordare).
Nel capitolo undicesimo della Sapienza (Bibbia) è scritto, a proposito di Dio: “Hai disposto ogni cosa con misura, calcolo e peso”.
I tre elementi costitutivi di ogni cosa sono, pertanto, come è di fatto nella realtà, misura e peso, ossia spazio-tempo o campo gravitazionale, implicante l’esistenza anche del tempo e calcolo, ossia algoritmo. Ed è, infatti, con algoritmi che la Natura svolge buona parte dei suoi processi vitali e che l’Universo si determina nel suo incessante divenire.
Conoscere gli algoritmi della Natura è opera meritevole e necessaria al fine di conoscere noi stessi, in quanto esseri naturali, e di collaborare con l’insieme nel quale siamo immersi.
Verso il Sé oltre la coscienza dell’Io
E’ possibile, come asseriscono alcuni autori summenzionati, andare oltre la coscienza dell’Io, racchiuso nella matrix, ed espanderla verso il Fondamento, ossia tenderla verso il Sé, il seme essenziale dell’essere umano, che del Fondamento è frattale?
Possiamo, in altre parole, essere etici, ossia tenderci verso “l’abitare presso” l’Infinita Informazione, presso l’origine?
Possiamo andare oltre la matrix?
Nel carteggio tra Jung e Pauli[6], Pauli assegna all’inconscio collettivo una realtà atemporale che chiama campo U.
Jung sostiene che “la struttura centrale dell’inconscio collettivo non può essere fissata spazialmente, ma si configura come esistente dappertutto, in modo sempre identico a se stessa, che deve essere pensata come aspaziale e quindi, se proiettata nello spazio, deve trovarsi ovunque nello spazio”. [7]
L’inconscio collettivo è un mondo popolato di archetipi e Pauli sostiene esservi homousia del mondo archetipico e di quello fisico e Jung sostiene a sua volta che “l’archetipo non rappresenta altro che la possibilità che gli eventi psichici accadano”. [8] “La realtà dell’inconscio collettivo […] rappresenta uno stato dello psichico in cui le differenze di coscienza individuali sono più o meno cancellate”, ma “quando un contenuto psichico supera la soglia della coscienza, i fenomeni marginali sincronistici svaniscono. Spazio e tempo assumono il loro consueto carattere assoluto e la coscienza torna ad essere isolata nella sua soggettività”. [9]
L’inconscio collettivo, pertanto, se lo consideriamo come Informazione Infinita“ si pone come “essente in potenza”, “possibilità dell’accadere nella coscienza”, come il campo quantistico che è un infinito campo di possibilità.
Possiamo pertanto ipotizzare che l’andare oltre la matrix sia possibile se ci colleghiamo al nostro Sé, al nostro lapis, che non a caso è detto mediator, vinculum, ligamentum elementarum.
Interessante a questo proposito la definizione di Pauli del Sé come “nucleo radioattivo” che sta al centro tra fisico e psichico.
“Il nucleo radioattivo è – scrive Jung – un eccellente simbolo della fonte di emergenza dell’inconscio collettivo il cui strato più esterno è la coscienza individuale. L’autoraffigurazione dell’inconscio usa tale simbolo per indicare che la coscienza non si forma da un’attività a lei intrinseca, bensì è di continuo prodotta da un’energia che scaturisce dall’interno dell’inconscio e che da tempo immemorabile viene pertanto raffigurato in forma di radiazione. Il centro viene rappresentato degli gnostici greci come sphintér (scintilla di luce) o come pōhs archétypon (luce archetipica)”. [10]
La matrix attiene all’Io, alla mente, ossia alla coscienza individuale vigile quando i contenuti dell’inconscio superano la soglia della coscienza, ma la coscienza scaturisce da un’energia che viene dall’interno dell’inconscio, là dove il mediator è il Sé.
Conosci te stesso, pertanto, nel senso di scoprire l’occultum lapidem, è andare oltre la matrix, così come fa il protagonista del film omonimo.
Il protagonista di Matrix è risvegliato da Morfeus, ossia dal dio del sonno e del sogno, con un evidente riferimento all’inversione della realtà, dove la realtà è quella del sogno, regno dell’inconscio ed è illusione la realtà della veglia, dove regna la mente.
Interessante, sia detto per inciso, anche il nome del vascello di Morfeo: Nabucodonosor, che significa in accadico: “O Nabu, proteggi il mio primogenito”. Nabù è dio babilonese e assiro che in origine sovraintendeva ai vari aspetti della cultura: dio dell’agricoltura, della scrittura, della sapienza, patrono di sacerdoti e di artefici, scriba degli dèi. Un dio simile all’egizio Thoth e al greco Hermes.
Il vascello Nabucodonosor è il traghetto tra l’Io e il Sé.
Jung ci sovviene con il suo studio sulla sincronicità quando afferma che “si direbbe che spazio e tempo siano in rapporto con condizioni psichiche, o che in sé e per sé non esistano affatto e siano «posti» solo nella coscienza. Nella concezione originaria (cioè presso i primitivi) spazio e tempo sono cose quanto mai incerte. Sono diventati concetti «stabili» solo con il procedere dell’evoluzione spirituale e precisamente con l’introduzione della misurazione. Di per sé spazio e tempo non consistono in nulla. Emergono come concetti ipostatizzati solo dall’attività discriminante della coscienza e formano le coordinate indispensabili per la descrizione del comportamento di corpi in movimento. […]. Ma se spazio e tempo sono proprietà apparenti di corpi in movimento prodotte dalla necessità intellettuale dell’osservatore, la loro relativizzazione ad opera di una condizione psichica non è più in ogni caso un ché di prodigioso, ma rientra nell’ambito del possibile. Questa possibilità sorge però quando la psiche osserva non già corpi esterni ma se stessa”. [11]
“Conosci te stesso”, pertanto, è conoscere il proprio Io cosciente (essere coscienti di essere coscienti), ma anche andare oltre l’Io, relativizzando la Matrix e facendo sì che la psiche osservi se stessa, ossia il Sé, che è in rapporto con l’inconscio collettivo, ossia il Fondamento, nel quale la conoscenza incontra gli archetipi.
“Gli archetipi sono – scrive Jung – fattori formali che coordinano processi psichici inconsci, sono «pattners of behaviour» [modelli di comportamento]. Al tempo stesso gli archetipi hanno una «carica specifica»: sviluppano effetti numinosi che si manifestano come affetti”. [12]
Il linguaggio degli archetipi è il simbolo.
Andare oltre la matrix è anche prendere coscienza del rapporto tra fisico e psichico.
La potenza dell’algoritmo
Considerate le due matrix che riguardano il macrocosmo e il microcosmo, ossia l’universo e l’essere umano, è ora necessario occuparci di un’altra matrix: una matrix artificiale, ossia artificio dell’essere umano, che oggi rappresenta, più di ogni altra, la sfida esistenziale per l’intera umanità. Una matrix fatta di algoritmi messi in opera dagli esseri umani per il dominio sugli esseri umani, la cui frontiera possibile è la sottomissione dell’essere umano all’intelligenza artificiale. Quella che sembrava, anche solo cinquant’anni or sono fantascienza, ora si presenta nei panni di una realtà e di un incombente disastro.
L’algoritmo, secondo l’Enciclopedia Einaudi, “è una procedura effettiva, comune per una classe di dati iniziali, la quale trasformi, in un numero finito di passi elementari, i dati particolari nel risultato richiesto […]. I Dati iniziali possono essere entità astratte arbitrarie, come simboli, successione di simboli, figure geometriche, ecc. Una procedura è detta effettiva se può essere eseguita in maniera puramente meccanica, senza l’uso di inventiva o intelligenza. La classe dei dati che possono essere trattati da un algoritmo è il suo dominio”. Già questo rappresenta un problema non indifferente per la libertà e la democrazia.
Sembrerebbe che l’algoritmo dipenda interamente dai dati iniziali e, conseguentemente, da chi li gestisce. Tuttavia, a caratterizzare gli algoritmi è anche “la loro capacità di apprendere senza essere esplicitamente programmati”. [13]
L’esperimento progettato e realizzato da Thomas Ray denominato Tierra è un chiaro esempio di come un algoritmo possa emanciparsi dai dati iniziali. Ray ha creato un mondo virtuale popolato da un algoritmo generico e in grado di autoreplicarsi, ma a causa del tasso di errore intrinseco nella modalità di replicazione, con l’andar del tempo Tierra si è riempita di forme di vita impreviste, compresi virus virtuali e algoritmi che per difendersi sviluppavano sistemi immunitari artificiali.
L’esperimento dimostra che l’evoluzione non avviene grazie ad una ripetizione tale e quale della procedura, ma in virtù di un errore che coglie altre possibilità.
“Un replicatore – scrivono in proposito Edoardo Boncinelli e Antonio Ereditato – è un’entità fisica che ha la proprietà di moltiplicarsi. Verrebbe da dire identico a se stesso, ma in realtà la vita come la conosciamo sulla Terra è stata generata da replicatori imperfetti, che non si duplicano sempre uguali, ma piuttosto con un continuo apporto di piccole o grandi variazioni casuali a ciascuna generazione”. [14]
L’errore, che potremmo definire come variante, è dunque all’origine della complessità.
Gli algoritmi del logos
Oggi la fisica ci dice che le “cose” esistenti sono, in effetti, “eventi” delle vibrazioni di un campo in-formativo semantico fondamentale che si organizzano in schemi relazionali, alla cui misura sono preposte formule (calcoli) che sono matematiche, ma inserite in schemi dimensionali.
Il mondo, secondo la meccanica quantistica, è una rete di eventi che interagiscono e l’interazione è relazione, ossia logos.
Logos, spiega Martin Heidegger, “può anche significare qualcosa che diviene visibile mediante la sua relazione a qualcosa, mediante la sua «relazionalità»” e, conseguentemente, “assume il significato di relazione e rapporto”. [15]
Che il concetto di lógos abbia il significato e il valore di rapporto è convinzione anche di Paolo Zellini, il quale scrive: “L’infinito era assenza (stéresis), potenzialità pura, e qualsiasi cosa, per esistere e per durare doveva opporsi alla negatività del senza-limite. Era questo, nella matematica greca, il compito del lógos, del rapporto in cui si trovano i prodromi del numero moderno”.[16]
“L’enumerazione – aggiunge Zellini – era una prerogativa del lógos, che alludeva a un’operazione di scelta e di raccolta, di aggregazione ordinata di diverse entità in un unico insieme”. [17]
Logós, in quanto relazione, può essere considerato una “rete relazionale”, ossia un insieme di potenze.
Con il logos l’Informazione Significante (dotata di senso) del Fondamento diventa regola, legge naturale, procedura, algoritmo.
Il logos è un creatore di algoritmi in funzione dell’impulso d’Amore, ossia dell’impulso vitale (Eros) e dei dati che provengono dal Fondamento. Detto in linguaggio egizio, Sa o Sia, la Somma Intelligenza, emana dati che Hu traduce in algoritmi che strutturano la realtà. Tuttavia gli algoritmi non si replicano uguali a se stessi, ma si modificano nel tempo, dando origine alla complessità della vita. Quanto questa differenziazione sia dovuta ad un “errore” che induce l’algoritmo a cogliere altre possibilità, oppure ad un intervento della volontà delle “creature”, ossia di esseri coscienti e pensanti, come gli esseri umani, è un tema di enorme importanza e dalle conseguenze straordinariamente importanti per gli esser umani stessi.
Noi stessi, infatti, siamo eventi e “io – ci ricorda Rovelli – come voleva Spinoza, sono il mio corpo e quanto avviene nel mio cervello e nel mio cuore, con la loro sterminata e per me stesso inestricabile complessità”: [18]
L’Homo Sapiens è dotato di intelligenza simbolica
Gli esseri umani hanno una mente logica e conseguenziale “fino a un certo punto”.[19] La mente “applica una logica per così dire «a spanne» e possiede un’innata tendenza al compromesso operativo”,[20]cosicché “la nostra è sempre una razionalità limitata”. [21]
La nostra mente ha la capacità di creare mappe degli oggetti e degli eventi[22] e pertanto acquisisce per immagini ed elabora concetti; ha inoltre la capacità di simbolizzare e le rappresentazioni simboliche della coscienza sono in grado di accogliere nel sistema mentale credenze, idee, pensieri, archetipi.
“L’Homo Sapiens – osserva Wilson – è l’unica specie superstite dotata di un’intelligenza simbolica”. [23]
La vita è permanentemente una questione di informazioni e l’omeostasi funziona in quanto acquisisce informazioni, creando ordine, ossia neghentropia, ma il nostro cervello ha aree sovrabbondanti per le funzioni omeostatiche. La corteccia, infatti, “è libera di dedicarsi a funzioni che definiamo superiori”. [24] Possiamo dire, con Wilson, che “gli esseri umani pensano”. [25]
E’ del tutto evidente che l’omeostasi funziona in gran parte in base agli algoritmi, ossia a procedure consolidatesi e affinatesi nei scoli con l’evoluzione, ma l’essere umano è capace di andare oltre. Determinata da algoritmi è, ad esempio, la lettura e l’attuazione delle strutture cromosomiche, dalle quali dipende la formazione dell’essere umano. Tuttavia gli algoritmi sono strumenti di calcolo, procedure che funzionano in base a “entrate” (input), ossia in base a informazioni che vengono fornite e, come ha ben spiegato Kurt Gödel, i sistemi logici, come il linguaggio naturale o la matematica, comprendono sempre teoremi veri che non si possono dimostrare con gli stessi strumenti logici usati per generarli. Gli algoritmi, pertanto, “non sono onnipotenti”. [26]
Penrose sostiene che la mente umana deve essere più di un computer classico, perché riesce a eseguire quelli che Penrose chiama “processi non computabili”.
La non computabilità richiede qualcosa che si può trarre dalla meccanica quantistica, ossia dall’idea che l’osservatore determina la realtà scegliendo nel campo delle possibilità, ma all’essere umano compete la creatività, che “è il carattere distintivo della nostra specie e ha come fine ultimo la compensazione di noi stessi”[27], ossia, ancora una volta la coscienza.
Va inoltre tenuto ben chiaro che un algoritmo non è un numero e nemmeno un insieme di numeri; è una procedura di calcolo.
“Il numero – come opportunamente chiarisce Jung – è qualcosa di particolare, di misterioso vorremmo dire. Nessuno è ancora mai riuscito a diradare il suo nembo numinoso. […]. La serie di tutti i numeri è, inaspettatamente, più che una successione di unità identiche: essa contiene in sé tutta la matematica e tutto ciò che potremo ancora scoprirvi”. [28]
Viene alla mente il mondo 3 di Popper e la sua autonomia.
L’essere umano, s’è detto, è dotato di intelligenza simbolica e un simbolo (non un segno) è per sua natura numinoso, polisemico, imprendibile nella sua totalità, incomputabile. Un’intelligenza basata sul algoritmi, per quanto potente, non può essere simbolica.
Se, come scritto supra, la consapevolezza può tendersi oltre la matrix, verso il Sé e il Fondamento, ossia l’inconscio collettivo; se l’essere umano è dotato di intelligenza simbolica, allora può conservare la propria libertà nei confronti di qualsiasi algoritmo, purché sia davvero consapevole, perché la libertà gli è consustanziale, come lo è al Divino, secondo l’insegnamento delle Triadi bardiche.
La tracotanza dell’algoritmo e la difesa della libertà
Ridurre l’essere umano alla sua attività razionale, riducibile a sua volta a formule, separate dalla dinamica reale del vivente, è ciò che vuole la scommessa relativa all’intelligenza artificiale, una delle principali scommesse della finanza internazionale impegnata a farne un riferimento obbligatorio sullo sviluppo futuro dell’umanità.
“Il bersaglio ormai esplicito delle tecnologie neurali – scrive Michele Mezza – è chiaramente il cervello, ossia la possibilità di instaurare un canale di comunicare autonomo fra macchine digitale e il nostro sistema neuronale, per aprire una sorta di back door, di porta d’accesso al cervello”. [29]
E’ in questo ambito che va collocata la tracotanza dell’algoritmo, ossia la tendenziale dittatura di un “mondo tecnologico subordinato e potentati monopolistici”. [30]
In questa tracotanza dell’algoritmo possiamo identificare uno degli aspetti più insidiosi per l’attuale stadio della civiltà, dove alla matrix naturale, ossia la Maya, l’illusione oltre la quale non vediamo, a causa della “sfocatura” della nostra percezione della realtà, si vorrebbe sostituire la matrix degli Over The Top, ossia di chi si pone fuori e sopra il libero arbitrio dell’essere umano, mettendone in discussione la libertà.
I nuovi leviatani vorrebbero togliere all’essere umano quello che nemmeno il Fondamento nel “metterlo al mondo” gli ha tolto e che non gli sarà tolto nemmeno quando lascerà “questo mondo”: il libero pensiero dal quale consegue il libero arbitrio.
Oggi la matrix si presenta sotto forma di algoritmo, di intelligenza artificiale e di pensiero unico “oggettivo” in quanto ritenuto razionale. La “nostra – come afferma Michele Mezza – non è più la società dell’informazione e della tecnologia: è il mondo degli algoritmi”. [31] Non solo, ma è il mondo di un passaggio da un’economia patrimoniale ad un’economia relazionale, dove il controllo del sapere e delle sue forme proprietarie è al centro della questione delle questioni: la salvaguardia della libertà e della democrazia.
La domanda che sorge e che merita riflessione, in quanto riguarda uno degli elementi fondamentali della libertà è quella che pone Michele Mezza, ossia se “la potenza digitale, con la sua pratica di proliferazione e la sua capacità di personalizzazione dei messaggi, è in grado di convivere con le procedure e le ritualità di una democrazia rappresentativa, tarata e condensata sui tempi e i linguaggi di una società di massa, dove i media sono amplificatori e non ingegneri di relazioni sociali dirette”.
Gli algoritmi sono posseduti da pochi o sono controllati democraticamente?
Colui che determina le procedure controlla la società intera?
In gioco è il controllo del sapere e dietro l’angolo c’è il grande problema dell’intelligenza artificiale.
Nick Bostrom, nel delineare un quadro di possibile sviluppo esplosivo della superintelligenza, pone la questione fondamentale: “Dobbiamo sperare che prima che l’impresa alla fine diventi davvero fattibile avremo acquisito non solo la competenza tecnologica necessaria per provocare l’esplosione, ma anche il livello superiore di maestria che potrebbe essere indispensabile per poter sopravvivere alla detonazione”.
Il controllo del sapere i Fratelli della Cybercosta
Il controllo del sapere è stato a lungo esercitato, nei secoli, in Europa con la concentrazione dei testi in poche biblioteche e con la proibizione di possedere testi sacri, ossia con la censura. L’invenzione della stampa pose il problema di un nuovo controllo del sapere, così come lo stesso problema fu posto quando Lutero espose le sue tesi e fece tradurre la Bibbia in tedesco.
Oggi il tema si ripropone in modo urgente e drammatico, perché la matrix artificiale si pone come un nuovo leviatano capace di mettere in discussione la libertà.
In questo panorama, tutto da indagare e comprendere, i Fratelli della Cybercosta, oltre a navigare sul “vascello del Sé” della consapevolezza, possono elaborare e costituire isole di libertà, capaci di rivendicare la condivisione democratica dei codici sorgente, perché, come scrive Luigi Aurigemma nella prefazione a “Psicologia e alchimia” di Carl Gustav Jung, c’è “la realtà di un istinto umano di saggezza, di una pulsione oggettivamente attiva nella psiche, a uscire dalla oscurità dell’ignoranza del senso delle cose per accedere alla conoscenza del loro significato latente”. [32]
Non solo, sempre Jung sostiene che nell’anima umana esiste un “processo per così dire indipendente dalle circostanze esterne, indirizzato alla ricerca della meta” e che “il compito principale e più nobile di ogni edicazione (degli adulti) consiste nel portare alla coscienza l’archetipo dell’immagine divina, o le sue emanazioni e i suoi effetti. […]. Se non sapessi per esperienza che nell’anima si trovano valori supremi (ad onta dell’antimon pneuma [spirito sopraffattore, ndr] pure presente), la psicologia – afferma Jung – non mi interesserebbe un bel nulla, perché l’anima non sarebbe altro che misero fumo”. [33]
Accedere al senso delle cose e al loro significato latente, portare alla coscienza l’archetipo dell’immagine divina non sono materie per intelligenze artificiali e per il pensiero unico della razionalità imposta dalla techné manovrata da potenti mani, artigli della tracotanza umana; è materia dell’essenza dell’essere umano, del quel Sé che nessun potere potrà mai imprigionare. Non ci sono riusciti i roghi, i gulag e i campi di sterminio. Non ci riusciranno le macchine al servizio di poteri tracotanti.
Nel XII secolo i costruttori di cattedrali agirono da catalizzatori di una vera e propria rivoluzione culturale e sociale che cambiò il volto e i destini d’Europa.
Nel XVII secolo, mentre la Massoneria cosiddetta moderna prendeva forma, le logge furono luoghi di libero pensiero, di ricerca di confronto, di elaborazione di nuove idee, il cui impatto sulla società si fece ben presto sentire. E questo in un contesto di guerre di religione e di intolleranza.
Quali sono le cattedrali per il terzo millennio? Dove sono le nuove idee?
In un periodo di grandi trasformazioni, qual è quello che viviamo, è necessario saper cogliere il cambiamento, per essere capaci di entrare nel futuro.
© Silvano Danesi
[1] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi Editore
[2] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi Editore
[3] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi Editore
[4] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi Editore
[5] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi Editore
[6] Jung e Pauli, Il carteggio originale. L’incontro tra la psiche e la materia, Moretti e Vitali
[7] Jung e Pauli, Il carteggio originale. L’incontro tra la psiche e la materia, Moretti e Vitali
[8] Jung e Pauli, Il carteggio originale. L’incontro tra la psiche e la materia, Moretti e Vitali
[9] O.VIII cit. in Jung e Pauli, Il carteggio originale. L’incontro tra la psiche e la materia, Moretti e Vitali
[10] Jung e Pauli, Il carteggio originale. L’incontro tra la psiche e la materia, Moretti e Vitali
[11] Carl Gustav Jung, La sincronicità, Bollati Boringhieri
[12] Carl Gustav Jung, La sincronicità, Bollati Boringhieri
[13] Giorgio De Michelis, Sistemi intelligenti, cit. in Michele Mezza, Algoritmi di libertà, Donzelli editore.
[14] Edoardo Boncinelli, Antonio Ereditato, Il Cosmo nella mente, Il Saggiatore
[15] Martin Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi
[16] Paolo Zellini, La matematica degli dèi e gli algoritmi degli uomini, Adelphi
[17] Paolo Zellini, La matematica degli dèi e gli algoritmi degli uomini, Adelphi
[18] Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi
[19] Edoardo Boncinelli, La vita della nostra mente, Laterza
[20] Edoardo Boncinelli, La vita della nostra mente, Laterza
[21] Edoardo Boncinelli, La vita della nostra mente, Laterza
[22] Antonio Damasio, Lo strano ordine delle cose, Adelphi
[23] Edward Wilson, Le origini della creatività, Cortina
[24] Edoardo Boncinelli, La vita della nostra mente, Laterza
[25] Edward Wilson, Le origini della creatività, Cortina
[26] Giulio Giorello, Introduzione a Michele Mezza, Algoritmo di libertà, Donzelli editore.
[27] Edward Wilson, Le origini della creatività, Cortina.
[28] Carl Gustav Jung, La sincronicità, Bollati Boringhieri
[29] Michele Mezza, Algoritmo di libertà, Donzelli editore.
[30] Giulio Giorello, Introduzione a Michele Mezza, Algoritmo di libertà, Donzelli editore.
[31] Michele Mezza, Algoritmo di libertà, Donzelli editore
[32] Prefazione a Carl Gustav Jung, Psicologia e alchimia, Bollati Boringhieri
[33] Carl Gustav Jung, Psicologia e alchimia, Bollati Boringhieri
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