di Eleazar
Non potremo conoscere mai più il segreto racchiuso tra le mura di Eleusi.
Così come tutti gli iniziati, che sono trapassati senza avere mai tradito il giuramento prestato nelle mani dello ierofante per mezzo del quale avevano assunto l’impegno a conservare, sino e oltre la morte, la chiave aurea delle decrittazione e divulgazione misteriche, anche le strutture murarie del santuario tacciono, racchiudendosi, quasi, in una specie di isolamento da sordomutismo precettato. Esse, infatti, non ci offrono alcun segno simbolico-totemico, espresso in basso-altorilievi, che possa parlarci del rito di Eleusi rivelandoci, finalmente, l’essenza del culto stesso. I reperti archeologici murari sembrano avere prestato anch’essi il giuramento degli iniziati.
Sono passati oltre duemilacinquecento anni e tutte le bocche che avrebbero potuto parlare sono rimaste chirurgicamente cucite.
Ad Eleusi, l’impegno era quello di mantenere il segreto, costi quel che costi, anche a prezzo della vita. Nessuno era autorizzato a violare il segreto e, per questo, alle celebrazioni rituali non potevano essere ammessi se non solo e soltanto gli iniziati, i quali si erano impegnati, giurando, all’osservanza del silenzio che comportava sia l’aporrhta (proibizione di rivelare i segreti), sia l’ arrheta (indicibilità di alcune parole ben precise ed individuate).
“Fummo iniziati ai misteri della festa sacra, ovvero conoscemmo gli oggetti mistici ed indicibili che non possono essere rivelati a chi non sia iniziato: vengono detti Misteri da <chiudersi>, perché gli iniziati serrano la bocca e non ne fanno parola con nessuno dei non iniziati” (Da Aristofane).
All’interno delle mura del santuario coloro stessi che assistevano alla ritualità eleusina, venivano ammoniti severamente con l’anatema:
“Se qualcuno non fosse iniziato alla venerazione dei rituali oppure fosse ateo e non credesse negli dei oppure avesse animo impuro non possedendo tutte quelle altre virtù che sono patrimonio culturale di coloro che sono stati iniziati ai Misteri di questo genere, si allontani dai sacri riti”.
L’inciso è tratto da Aristofane, il quale procede con una ulteriore ammonizione:
“A costoro io affermo e torno ad affermare e affermo per la terza volta di fuoruscire dai cori degli iniziati”.
Il mantenimento del segreto circa la ritualità del rito eleusino e circa la natura degli oggetti sacri custoditi in una stanza interdetta a tutti (tranne allo ierofante), alla stregua di un sancta sanctorum ante litteram, non deve sorprenderci, trattandosi, come è ben comprensibile, di una questione vitale per la stessa esistenza dei Misteri. Per avere un’idea dell’importanza conferita a tale forma di segreto, è sufficiente porre mente alla circostanza che, non solo agli iniziati ai misteri minori e ai misteri maggiori[1], ma anche agli stessi epopti (dal greco epopths: epopta era colui che aveva raggiunto il più alto grado nell’iniziazione ai Misteri di Eleusi; il primo grado iniziatico era costituito, infatti, da quello detto della telete, mentre il secondo era chiamato muesis), durante lo svolgimento di alcuni riti, era severamente vietato, all’interno del santuario, l’accesso a determinati luoghi, ai quali poteva accedere, come già detto, soltanto lo ierofante. Anche durante i riti delle iniziazioni questi luoghi venivano rigorosamente protetti con dei veli al fine di custodire nel segreto iniziatico ciò che si trovava in essi.
Solo durante lo svolgimento dei Misteri Eleusini (ricorrenza che si verificava una sola volta all’anno) gli oggetti sacri rimasti nascosti e velati per tutto il tempo venivano svelati e scoperti, offrendoli, così, alla vista di tutti.
Questa volontà di proteggere in modo così ermetico tutta la vita misterica, ha finito con il creare una sorta di cortina di ferro tra la vita del santuario di Eleusi e la società civile esterna.
Non avendo cognizione esatta della natura dei Misteri, la società politica che, di fatto, ne era estromessa, ritenne di doversi premunire e lo fece con la produzione di determinati anticorpi sociali quali le illazioni, i pregiudizi, le invenzioni fantasiose che finirono con il creare attorno al mondo misterico eleusino una atmosfera di sospetto e prevenzione, quando non divenne, addirittura, una vera e propria persecuzione tramite l’applicazione di una capitis deminutio riguardo ai diritti civili degli iniziati, che finirono con il venire rilegati in una specie di ghetto.
La natura del silenzio eleusino si estendeva non solo alle norme che regolavano la ritualità, per così dire motoria che veniva osservata entro il perimetro del Tempio (dromena) e con esse anche le formule sacrali che gli officianti pronunciavano (legomena), ma anche e soprattutto gli oggetti e utensili sacri (iera), di cui la ritualità si serviva per rendere meglio i concetti del linguaggio simbolico: tali oggetti venivano mostrati soltanto in occasione dei Misteri e soltanto nel luogo a ciò appositamente destinato, il telesterion.
Uomini di pensiero e di scrittura, come Tertulliano, pronunciarono, riguardo al segreto dei Misteri eleusini, giudizi assolutamente dissacratori e mortificatori, liquidando l’intera vicenda alla stregua di un vero e proprio gioco di prestigio finalizzato a camuffare, sotto il velo della segretezza, appunto, quelle che, secondo la loro immaginazione, non potevano essere altro se non delle pratiche non ripetibili in pubblico, ma, piuttosto, nel segreto delle alcove equiparandole, in tale modo, a quelle feste in cui si praticavano le fallolatrie.
La reprimenda tertullianea, decisamente ispirata a difesa del nuovo culto cristiano al quale l’autore aveva fervidamente aderito, non ebbe in verità alcun seguito concreto non essendo stata in grado di risolvere i moltissimi dubbi che il mantenimento del segreto ingenerava, cosicché il mistero sui Misteri Eleusini continuò ad alimentarsi e, addirittura, ad ispessirsi.
Solo Aristotele ebbe ad esaminare il fenomeno in modo più imparziale e, alla fine, più scientifico. Il filosofo stagirita, infatti, giunse alla conclusione, certamente realistica, che:
“Tous teloumonous ou maqein ti dein alla paqein kai diateqhnai,
dhlonoti genomenous epi thdeious”.
“Gli iniziati non devono apprendere qualcosa, ma sentire un’emozione e trovarsi in una certa disposizione di animo, evidentemente perché sono stati predisposti a questo”.
Sulla scia dell’imput aristotelico, si è giunti alla conclusione universale per cui coloro i quali venivano iniziati non ricevevano già un insegnamento (didaskomenos), ma, al contrario e semplicemente, essi ricevevano una impronta con una indicazione di massima, e cioè quale fosse il sentiero da percorrere seguendo la via iniziatica (tipoumenos).
Le conoscenze che oggi si possiedono intorno ad Eleusi sono piuttosto mutile e frammentarie essendo state escerpite da fonti letterarie giammai dirette ed esegetiche del culto, ma sempre indirette e frutto il più delle volte di deduzioni che, anche se esattamente collocate dall’angolo visuale storico e logicamente non contraddittorie, sono pur sempre prive del supporto delle imprescindibili originalità ed autenticità.
Il riferimento più retrodatabile sulla nascita dei Misteri guarda dritto all’Inno a Demetra di Omero, comunemente considerato il testo nel quale trovarono ispirazione i primi fondatori del rito e che risale al XV sec. a. C.
Nell’arco della sua parabola vitale il rito subì continui cambiamenti ed evoluzioni (veri e propri aggiustamenti in riferimento allo scopo da perseguire), ma è necessario giungere sino al VI sec. a.C. per aversi una sua vera e propria rivoluzione. Ciò avvenne quando a prendere nelle mani il timone sacerdotale del rito stesso fu la famiglia degli Eumolpidi.
Come è risaputo, il tema centrale e ricorrente dell’ Inno è costituito dal rapimento organizzato ed eseguito da Hades, dio degli inferi, in danno della figlia di Demetra, Kore-Persefone, che viene sottratta alla luce del sole e trascinata sotto terra.
Il leitmotiv è, dunque, costituito dalla discesa di Kore sotto terra (catabasi) che non rappresenta, però, come ci si aspetterebbe, uno status definitivo e irreversibile, ma, al contrario, assolutamente transitorio, in quanto la catabasi non è altro che il preludio di quanto avverrà in successione di tempo, cioè l’anabasi ossia la ri-salita sulla superficie terrestre e il ritorno alla luce del sole.
Anche Demetra ama stare sei mesi al buio degli inferi e i successivi sei alla luce del sole.
L’esperienza simbolica di Eleusi è tuttora variamente rivissuta in modo alchemico (san’a al-Kimiya=l’arte della pietra filosofale) nell’ambito del mondo libero-muratorio che propugna l’osservanza del precetto “visita interiora terrae, rectificando invenies occultum lapidem”, nel quale inciso ricorre la ricerca della pietra (filosofale), costituita dall‘aurum (c.d.: sole terrestre), elemento preziosissimo non già per il suo valore venale, ma perché nel processo alchemico è indispensabile come catalizzatore e, inoltre, perché è l’unico metallo non soggetto a corrosione.
La simbologia manifesta l’intenzione di voler propalare un messaggio salvifico. Dopo avere toccato il fondo della disperazione, del buio, del dolore, dell’ottundimento dell’anima, si comincia pian piano ad avere coscienza che non tutto è perduto, che non tutto è finito, che si può prendere l’aire ed abbandonare il fondo, emergere ritornando alla luce, alla speranza, alla gioia, all’atarassia, alla piena coscienza di se stessi. Per fare ciò è necessario che il miste si disponga in un particolare stato d’animo pronto a sentire l’intuizione vera e decisiva. Conosciuta la morte non se ne ha più paura.
“La morte non solo non è un male, ma anzi è un bene” diceva un epitaffio del sec. II d. C.
E’ opinione comune che i Misteri si prefiggessero proprio questo, vivere la propria condizione umana il più felicemente possibile, avendo la certezza che nell’aldilà si sarebbe ottenuta l’immortalità. Ciò comportava, necessariamente, di dovere considerare la morte come una iniziazione verso un mondo vitale e immortale che i non iniziati non potevano neppure immaginare, essendo relegati in un settore del mondo meschino, povero, nel buio o, al massimo, nella penombra, senza alcuna attesa o prospettiva.
Ha scritto Aristofane:
“Ciò che si acquisisce dalla partecipazione alla festa non consiste tanto nella gioia del momento presente, né nel dissolvimento delle amarezze del tempo passato e nella liberazione da esse, ma anche nel nutrire speranze riguardo alla morte, confidando in una vita migliore, poiché non si giacerà nelle tenebre e nel fango che attendono i non iniziati”.
[1] I misteri minori venivano celebrati nel mese di Anqesterion (cioè, da metà febbraio a metà marzo) e tale celebrazione avveniva in un sobborgo di Atene, denominato Agrai. Questo rito consisteva nella purificazione preliminare, tramite abluzioni con l’acqua del fiume Ilisso, prima di diventare un vero e proprio iniziato. I misteri maggiori venivano celebrati nel mese di Boedromion (cioè, da metà settembre a metà ottobre) e tale celebrazione avveniva ad Eleusi. I Misteri non potevano essere celebrati al di fuori della città di Eleusi, anche se era uso effettuare una processione da Eleusi ad Atene, e viceversa, percorrendo la Via Sacra che congiungeva le due poleis. Gli oggetti sacri trasportati dai partecipanti alla processione venivano ospitati e custoditi, finché non fossero rientrati ad Eleusi, in un tempio ateniese a ciò appositamente destinato, l’Eleusinion.
BIBLIOGRAFIA
BIANCHI U., Saggezza olimpica e mistica eleusina nell’inno omerico a Demetra, in Studi e materiali di storia delle religioni, 1964;
DETIENNE M., Dioniso e la pantera profumata, Bari 2007;
GUIDI A., I Misteri di Eleusi, Roma 1927;
SFAMENI GASPARRO G., Misteri e culti mistici di Demetra, Roma 1986;
TONELLI A., Sulle tracce della Sapienza, Bergamo 2009.
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